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Famiglia & Minori

Per prevenire l’affido serve un villaggio

La nuova "comunità di famiglie" della Papa Giovanni

di Daniela Verlicchi

«Più che di una famiglia qualsiasi, un bambino ha bisogno della sua famiglia». La sfumatura non è sfuggita alla comunità Papa Giovanni XXIII, che per questo ha ideato un nuovo modello di comunità dedicato ai minori e alle loro famiglie. Si chiama Villaggio della Gioia ed è stato inaugurato a Villafranca di Forlì.
Una vera e propria “famiglia di famiglie” che nei prossimi mesi, quando saranno terminati i lavori di costruzione, sarà in grado di ospitare non solo minori disagiati ma anche le loro famiglie. Accanto a esse, tre coppie della Papa Giovanni con i loro figli (una trentina, tra naturali e accolti) che faranno un po’ da “capi tribù”. «Quando c’è un disagio in famiglia, per prima cosa si affida il minore alla madre», osserva Daniele Severi, uno dei papà che gestiranno il villaggio. «Una modalità di aiuto che, oltre a privare i ragazzi del diritto ad avere un padre, impedisce alla famiglia di crescere e superare insieme i momenti di fragilità».
I 12 appartamenti del villaggio ospiteranno famiglie che Severi definisce «sole»: «Povere, non tanto di mezzi materiali ma di reti amicali e famigliari che verranno segnalate dai servizi o chiederanno aiuto loro stesse».
L’idea è, in pratica, “prevenire” l’affido, offrendo ai genitori in difficoltà strumenti nuovi per andare avanti: «Per questo abbiamo chiesto ai tribunali dei minori e alle Ausl di emanare decreti ad hoc che prevedano anche questa possibilità». Ogni appartamento avrà un suo giardino e piena autonomia gestionale. Ci saranno però spazi comuni aperti alla città e una piazza centrale dove socializzare e condividere esperienze («come nelle vecchie borgate di una volta», racconta Severi).
Ad ogni famiglia verrà chiesto di seguire incontri e momenti educativi settimanali gestiti dalla Papa Giovanni. Ridotte al minimo, invece, le forme di aiuto più tradizionali: «Quando hai una vita disastrata, l’ora di psicoterapia settimanale ha lo stesso effetto che ha un’aspirina su un malato grave», spiega Severi. È invece l’esempio concreto di «genitorialità applicata» che fa la differenza: «La terapia è vivere insieme: condividere le incombenze quotidiane del genitore (come l’aiuto nei compiti o il trasporto dei ragazzi in palestra) e avere di fronte degli esempi concreti».
Il percorso è concepito come un accompagnamento progressivo verso l’autonomia con un tempo massimo: «Qui le famiglie potranno stare 18 mesi», spiega Severi. Un certo grado di autonomia viene richiesto sin da subito: se i genitori hanno un impiego, dovranno contribuire alle spese famigliari, che in caso contrario saranno invece sostenute dalle aziende sanitarie. L’affitto sarà sempre a carico delle Asl, che si faranno carico anche del percorso educativo seguito dalle famiglie. «Niente a che vedere, comunque con i 100 euro di retta media giornaliera che servono per mantenere un ragazzo in struttura pubblica», chiarisce Severi, «la famiglia permette anche di ammortizzare i costi».


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