Daniela e Daniele Dosi hanno adottato tre fratelli brasiliani. Di 8, 9 e 13 anni. Quando li intervistiamo, Daniela è presissima: «Questo mese abbiamo anche una bambina di Chernobyl in vacanza da noi? c’è un po’ di fermento!».
La loro non è stata una storia adottiva semplice: tra il 2005 e il 2006 si sono persi nelle “secche” della burocrazia internazionale tra Italia e Russia. Mosca tardava a rinnovare l’autorizzazione ad AiBi e i Dosi aspettavano. «Ogni giorno guardavamo il sito per controllare se ci fossero novità», ricorda. «A un certo punto, abbiamo letto gli annunci dei bambini problematici e ci siamo innamorati di una storia». Dopo aver contattato l’associazione, le vite dei Dosi e quelle di Erika, Michael e Kaique si sono intrecciate. «Era destino. Io e Daniele, in fondo, un bambino russo non ce lo eravamo mai veramente immaginato. Loro avevano avuto una vicenda molto sfortunata: la mamma era morta e il papà a un certo punto non ce l’aveva più fatta. Vivevano da più di tre anni in istituto». E, inutile sottolinearlo, in tre e già piuttosto grandicelli, avevano scarse opportunità di essere adottati.
Ma nel giugno del 2007, a 300 chilometri da San Paolo, è avvenuto l’incontro «tra due famiglie che si cercavano e che volevano stare insieme», racconta Daniela. Come è andata? «Pensavo a tante cose prima di incontrarli. Pensavo che Erika sarebbe stata protettiva con i suoi fratelli, che forse mi avrebbe conteso il ruolo di madre. In realtà, aveva un bisogno grandissimo di essere figlia, di lasciare andare quella grande responsabilità che aveva portato fino ad allora. E ce l’ha fatta. È stata la più guardinga, ma poi si è abbandonata a noi». Com’è da zero a tre figli? «Beh, a volte ci diciamo che forse abbiamo esagerato!», scherza Daniela. Che ormai ha lasciato il lavoro («perché per essere madre avevo bisogno di uno spazio mentale, non solo fisico») e si occupa dei suoi ragazzi a tempo pieno nella sua casa a Trezzano Rosa.
