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La polvere bianca che sballa il Continente nero

Parla Alexandre Schmidt, responsabile Onu per l'Africa occidentale

di Joshua Massarenti

Golfo di Guinea e baia del Benin. Nascono qui le nuove narco-economie che gestiscono il traffico di cocaina verso l’Europa per conto dei cartelli sudamericani Un boeing che si schianta nel bel mezzo del deserto in Mali settentrionale con a bordo dieci tonnellate di cocaina; 15 persone arrestate in Gambia per possesso di oltre due tonnellata di polvere bianca pronte per essere spedite in Europa per un valore complessivo di 900 milioni di euro; più di recente, il 18 ottobre scorso, è toccato al Ghana con un sequestro, l’ennesimo di 225chilogrammi di “neve” pura. Ecco serviti tre casi di cronaca per un fenomeno inconfutabile: l’Africa occidentale è diventata negli ultimi anni una rotta di transito imprescindibile del traffico di cocaina tra il Sud America e l’Europa.
Secondo l’Ufficio Onu per la lotta contro la droga e il crimine (Onudc), il 15% della cocaina sbarcata nel 2008 in Europa (su un totale di 200 tonnellate) è passata per l’Africa occidentale. Tra le destinazioni privilegiate c’è l’Italia, terza nello spazio europeo per numero di consumatori di “bamba”. Sul nostro territorio, nelle nostre strade, discoteche, case o uffici, circola una droga che in Africa occidentale ha generato profitti pari a un miliardo di euro nel 2008 e una corruzione dilagante nell’amministrazione pubblica africana. Un business che però sarebbe in calo, assicurano gli esperti. Di tutt’altro parere è invece Alexandre Schmidt, responsabile dell’Ufficio regionale di Unodc in Africa occidentale e centrale. «Ci sono segnali inquietanti di ripresa e la nostra battaglia contro i narcotrafficanti è ancora molto lunga», assicura in questa intervista rilasciata in esclusiva a Vita e a quattro fra le maggiori testate giornalistiche africane: Le Calame (Mauritania), Les Echos (Mali), Sud Quotidien (Senegal) e Le Républicain (Niger).
Vita: Perché l’Africa Occidentale è diventata un luogo di transito della cocaina?
Alexandre Schmidt: Tre sono i motivi e tutti risiedono negli Stati Uniti, noti fino a pochi anni fa per essere il Paese con il più alto tasso di consumo di cocaina al mondo. Oggi invece gli americani consumano principalmente droghe sintetiche. Il crollo del dollaro rispetto all’euro, associato all’intensificazione dei controlli frontalieri negli Usa e in Messico, ha definitivamente convinto i narcotrafficanti che l’Europa poteva diventare il loro nuovo eldorado. E infatti così è stato, grazie anche all’apporto prezioso dell’Africa Occidentale, una terra vergine affacciata al Sudamerica e dove i governi non hanno mezzi sufficienti per contrastare gente potentissima e organizzatissima come i trafficanti di droga. Insomma, l’Africa è stata subito individuata come il luogo di transito ideale per spedire la coca in Europa evitando i controlli sempre più frequenti presso gli aeroporti europei sui voli provenienti dal Sudamerica.
Vita: In che modo il continente africano viene sfruttato?
Schmidt: La domanda, che parte sempre dall’Europa, viene sottoposta ai network sudamericani che prelevano la merce negli unici tre Paesi del mondo in cui la cocaina viene prodotta: Bolivia, Perù e Colombia, che copre il 50% del mercato mondiale. La droga è poi mandata in Africa occidentale in due modi: per via area oppure per via marittima tramite navi e sottomarini. Una volta sbarcata sulle coste africane, i gruppi logistici locali con cui i narcos collaborano hanno tre possibilità per mandarla in Europa. Possono sfruttare i voli di linea che collegano i principali aeroporti dell’Africa occidentale al continente europeo, oppure ricorrere a piccoli aerei bimotori con cui far transitare la coca nelle zone interne della regione, per poi raggiungere il Nord Africa e da lì far approdare la droga in Spagna, Francia o Italia. L’ultima opzione, più lunga e complicata, è la via terrestre che vede i terroristi di Al Qaeda e altri gruppi armati giocare un ruolo essenziale per far passare la cocaina attraverso il Sahel.
Vita: Nel vostro ultimo rapporto però sostenete che in Africa occidentale il traffico di stupefacenti è in calo…
Schmidt: Purtroppo negli ultimi mesi, non considerati dal rapporto, il traffico è tornato ad aumentare. Detto questo, il calo evidenziato negli anni 2008-2009 non significa che il mercato sia stato meno intenso. Il fatto che i riflettori si siano accesi sulla regione e che sforzi importanti siano stati dispiegati dalla comunità internazionale per contrastare il fenomeno, ha costretto i narcotrafficanti a cambiare le modalità operatorie. Un esempio: la lotta ingaggiata dal 2007 a Capo Verde ha spinto i narcos a trasferirsi in Guinea-Bissau, Guinea-Conakry, Gambia, Liberia e Sierra Leone. Da quel momento, le agenzie specializzate nella lotta contro gli stupefacenti hanno concentrato le loro operazioni repressive in questi Paesi situati sulla costa, ignorando totalmente cosa stava accadendo nell’entroterra dell’Africa occidentale. Purtroppo, ogni volta che scopriamo un luogo o un corridoio di transito, ci accorgiamo che è già obsoleto. I trafficanti hanno una capacità di reazione fenomenale. E non solo per far transitare la droga. La Guinea-Conakry accoglie centri di produzione controllati direttamente dai cartelli sudamericani in cui la cocaina e l’oppio vengono raffinati.
Vita: Quali sono i Paesi più coinvolti?
Schmidt: Quelli del Golfo di Guinea e quelli sulla baia del Benin. Detto questo, non c’è un Paese dell’Africa occidentale che può ritenersi immune. A livello regionale, sappiamo che alcuni governi, amministrazioni pubbliche e aziende private sono coinvolti, ma nessuno sa dire in che misura. Con l’omicidio dell’ex presidente Joao Bernardo Vieira per mano dei narcos, la Guinea-Conakry è risultato finora il caso più eclatante. È urgente fare chiarezza, anche perché se il rischio di vedere emergere dei “narco-Stati” non sussiste, non così si può dire per le “narco-economie”.
Vita: Altro fenomeno inquietante è il consumo di stupefacenti tra gli stessi africani?
Schmidt: È un fenomeno che purtroppo sta dilagando soprattutto tra i giovani, il cui peso demografico in Africa è molto rilevante. Oltre alla cocaina dilaga anche l’eroina, una droga nuova per il continente africano. Anche lì i narcos hanno dimostrato una grande capacità di adattamento. L’oppio e l’eroina spediti sul continente europeo dall’Afghanistan passano ormai per il Pakistan, per poi approdare sulle coste dell’Africa orientale e risalire in Africa occidentale. Da lì, la merce in transito raggiunge il Nord Africa per finire il suo percorso nei Paesi europei, tra cui l’Italia.
Vita: Quali sono gli sforzi prodotti dai Paesi dell’Africa occidentale per contrastare il traffico di stupefacenti?
Schmidt: Alcuni Paesi si sono dati da fare, altri no perché implicati – a vari livelli – nel narcotraffico. In generale qualcosa di positivo è stato fatto, in special modo per rafforzare il controllo alle frontiere, ma si tratta di una goccia in un oceano di sfide. È necessario adottare un approccio strategico globale che sappia anticipare le mosse dei narcos e aiutare sistemi giudiziari allo sbando. Oggi i grandi narcotrafficanti sono totalmente immuni dal rischio di finire in carcere. Bisogna porre un termine a questo clima di impunità, altrimenti la nostra lotta rimarrà una missione impossibile.


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