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Il non profit sopravviverà solo a colpi di tweet

Lo prevedono Allison Fine e Beth Kanter, autrici di un libro che è diventato un caso letterario

di Redazione

di DONATA COLUMBRO

?Trasparenza, semplicità e apertura totale alla partecipazione dal basso: questi sono gli ingredienti per trasformare la propria organizzazione in una networked nonprofit, un’associazione che lavora in rete. A descrivere l’evoluzione delle onlus e delle organizzazioni non governative impegnate a promuovere una causa sociale sono Allison Fine e Beth Kanter, esperte di nuove tecnologie e consulenti del settore non profit negli Stati Uniti. Il loro ultimo libro a quattro mani, The Networked Nonprofit. Connecting with Social Media to drive change è un insieme di esempi e suggerimenti concreti per abbandonare l’idea tradizionale di associazionismo e arrivare a costruire un’organizzazione non profit a immagine e somiglianza dei social network, aperta al contributo di tutti. Le autrici partono da una riflessione sulla generazione Y o “Millennials”, i giovani nati tra il 1978 e il 1992, e sul loro approccio al volontariato e all’attivismo, oggi sempre più legato alle cause sociali che sostengono con passione, ma non all’appartenenza ad un’associazione specifica. E con l’analisi di alcune best practices in corso negli Stati Uniti offrono consigli pratici per iniziare ad usare i social media e “guidare il cambiamento sociale” anche al proprio interno. Al termine di ogni capitolo non manca poi una sezione di domande utili per verificare la trasformazione in atto e al fondo del libro un glossario con i termini chiave da approfondire.

La forza di Twitter
Ma come si avvia la trasformazione? Alla base del procedimento c’è la creazione di una cultura sociale che abbracci tutti i livelli dell’organizzazione, dal volontario al comunicatore ma soprattutto ai leader: «Senza cultura sociale, le organizzazioni non profit potrebbero fare l’errore di lasciare in mano la gestione dei social media solo ai membri più giovani dello staff», affermano le autrici. Se vi sembra un’affermazione infondata, guardate quello che è successo ai maggiori quotidiani italiani: da quando i direttori e i capi redattori hanno aperto un account personale su Twitter, la stampa ha iniziato a citare sempre più spesso le conversazioni sui social media e i giornalisti hanno acquistato più credibilità con i lettori, con cui ora possono commentare alla pari le notizie del giorno.

I consigli di miss Zuckerberg
Momsrising.org, charity:water e la National Wildlife Federation sono solo alcune delle organizzazioni che lavorano in rete con successo citate nel libro. «Fai il tuo meglio e realizza un network per tutto il resto» è in sintesi il suggerimento di Kanter e Fine. Le ong “fortezza” non hanno possibilità di sopravvivenza in un mondo in cui le relazioni si moltiplicano grazie ai social network. Lo spiega anche Randi Zuckerberg, sorella di Mark e direttore marketing di Facebook, nella prefazione al libro: «Nel passato c’erano solo due modi per essere coinvolti in un’associazione di volontariato: donare soldi e donare tempo. Adesso sono dozzine le modalità attraverso cui le persone possono sostenere le organizzazioni che gli interessano usando i social media: aggiornando il loro status di Facebook parlando di una causa, organizzando un evento di fundraising, scrivendo un post sul proprio blog, producendo e condividendo un video e molto altro».

La fine delle fortezze
La struttura rigida, verticale e gelosa delle proprio informazioni tipica delle “fortezze” costituisce un rischio più che un vantaggio secondo Kanter e Fine, che riportano l’esempio della Croce Rossa Americana, duramente criticata su internet a proposito degli interventi post Katrina.
I dirigenti dell’organizzazione si sono resi conto troppo tardi di quello che stava accadendo online, ma hanno comunque reagito assumendo Wendy Harman come social media expert per “combattere” le cattive opinioni dei blogger e aumentare la trasparenza: con uno sforzo di ascolto e di monitoraggio su Twitter e sui blog, Harman è riuscita a capovolgere la situazione e vincere 50mila dollari dalla Western Union Foundation grazie ai fan su Facebook.
«Alla Croce Rossa Americana hanno imparato a percepire le critiche e i commenti negativi come un’opportunità per unirsi alla conversazione della rete», confermano le autrici. Che insistono sulla necessità di mappare la propria rete di sostenitori online senza dimenticarsi di chi è alla periferia di queste mappe: le persone più lontane da noi possono portarci a persone ancora più lontane.


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