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Sostenibilità sociale e ambientale

Divorzio per colpa delle multinazionali

Alessandro Franceschini commenta l'uscita di Fair Trade Usa dal movimento internazionale

di Sara De Carli

Il 2012 si apre con una frattura nel mondo del commercio equo e solidale. Dal 1 gennaio infatti Fair Trade Usa è uscita da Fai Trade International. Come ha scritto ieri su Repubblica Angelo Aquaro per l’associazione si tratta di ben più che una perdita: «un’amputazione». Infatti Fair Trade Usa, con un giro d’affari di 1,8 milioni di dollari, rappresenta un terzo del mercato del commercio equo, sempre in espansione, che oggi vale 5,8 miliardi di dollari e che anche nel 2010  ha visto (dati recentissimi del Monitoring Report) un + 22% di utili e un +24% di vendite, a beneficio di 1,15 milioni di contadini e artigiani nel mondo.

La causa della scissione è una vecchia divergenza tra le due anime (e innanzitutto i due fondatori storici) del commercio equo: da un lato Nico Roozen spinge per un’apertura sempre maggiore al mercato e alle multinazionali, in nome di una fair trade di massa, dall’altra il missionario olandese Frans van der Hoff crtitica i compromessi con le multinazionali che annacquano il concetto di commercio equo.

All’articolo di Aquaro, che accusava il movimento di camminare sulla via della trasformazione in una multinazionale, risponde oggi Alessandro Franceschini, presidente di AGICES, l’associazione che riunisce 90 organizzazioni di Fair Trade in Italia: «utilizzando il termine di “apertura alle multinazionali” sembra che si contrapponga un atteggiamento di evoluzione, che per aumentare la fetta del mercato equo si mostra disponibile a coinvolgere le multinazionali, a un atteggiamento di tipo conservativo, che rifiuta il cambiamento per rimanere legato ai principi fondanti del movimento. Invece si tratta di distinguere tra una certificazione di prodotto e una certificazione di organizzazione, cosa che a nostro parere consolida e protegge il sistema nel suo complesso e garantisce meglio i consumatori».

«D’altra parte la crescita del fair trade internazionale in questi anni di grande crisi dimostra che chi difende le attuali regole non lo fa in una logica di nicchia e che non occorre annacquare i criteri per diventare grandi, precisa, come tutti coloro che fanno parte del movimento vogliono». Il problema quindi non è “multinazionali si/no” – già oggi esse possono entrare a far parte del sistema – ma piuttosto “come” e secondo quali criteri.

Franceschini infine precisa che, parlando della situazione italiana, è importante sottolineare che «nel nostro paese AGICES non prevede particolari conseguenze e cambiamenti dovuti alla scelta americana: la situazione è tranquilla e  i rapporti  interni al movimento positivi».


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