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Economia & Impresa sociale 

Il Censis difende l’Ente del microcredito

Il microcredito è uno strumento fondamentale in tempi di crisi. Lo dice il Censis. Che difende l'Ente guidato da Baccini, di cui il Governo ha appena deciso la chiusura

di Redazione

Il microcredito è «ancora e sempre un’opportunità di crescita e auto impiego». Lo dice il Censis, presentando oggi lo studio «Crisi di sistema e microcredito in Italia», promosso dall’Ente nazionale per il microcredito, che fra nemmeno un mese chiuderà i battenti per effetto della spending review decisa dal Consiglio dei Ministri dello scorso 6 luglio. Lo hanno illustrato Giuseppe De Rita e Mario Baccini.
 
Il quadro economico
Nel 2011 il numero di imprese coinvolte in procedure fallimentari è quasi raddoppiato rispetto al 2007, superando gli 11mila casi. Tra dicembre 2011 e febbraio 2012 i prestiti bancari alle imprese si sono ridotti di oltre 16 miliardi di euro. E anche gli investimenti produttivi sono scesi di più del 6% nei primi mesi dell’anno rispetto al 2011. La costituzione di nuove imprese rallenta e la disoccupazione, specie quella giovanile, aumenta. Le famiglie con difficoltà economiche e prive di garanzie da prestare agli istituti di credito sono attualmente il 18% del totale: una platea ampia di soggetti che in gran parte possono accedere a interventi di microcredito e per i quali l’opportunità di un nuovo lavoro rappresenta la possibilità di un riscatto sociale e morale. Il sistema economico necessita di strumenti che sostengano in ogni modo l’impresa e l’autoimpiego, anche attraverso il microcredito.

La difesa dell’ente per il microcredito
La presentazione del rapporto è stata l’occasione – ammette lo stesso comunicato del Censis – per «rilanciare l’esigenza di un centro di coordinamento e monitoraggio delle attività di microfinanza. Fino a oggi tale centro è stato costituito dall’Ente nazionale per il microcredito, che opera con una dotazione di 1,8 milioni di euro, più che triplicati nell’ultimo anno grazie all’acquisizione di fondi comunitari per la realizzazione di progetti di diffusione del microcredito e di azioni a sostegno delle fasce disagiate della popolazione che oggi non possono avere accesso al credito ordinario. Non si tratta pertanto di un ente che rappresenta un costo per lo Stato, ma di una struttura che genera e genererà nuove entrate, trasformando migliaia di disoccupati in contribuenti attivi. In un periodo di grave recessione e di razionamento del credito, vanno valorizzati e ampliati i casi di start-up di piccole imprese finanziate dal microcredito».
 
Perché difenderlo
«Non siamo certamente all’emergenza sociale – ha detto Giuseppe De Rita, presidente del Censis –, ma alcuni segnali di crisi non possono essere sottovalutati: 500.000 posti di lavoro in meno, 13.000 imprese chiuse, una disoccupazione giovanile che aumenta in modo inarrestabile. Proprio per questo penso che sia il momento per mettere a valore e non per eliminare tutti gli strumenti che possono aiutare le famiglie e le imprese a ripartire generando nuovo lavoro, anche attraverso il microcredito, che responsabilizza chi lo usa e consente di non essere soggetti passivi del welfare, ma contribuenti attivi grazie all’autoimpiego».
«È sufficiente scorrere qualche pagina del dossier realizzato dal Censis – ha detto Mario Baccini, presidente dell’Ente nazionale per il microcredito per capire quanto si siano allargati i segmenti deboli della società, piegati da una crisi economica che non sembra avere fine. Per molte persone che hanno perso il lavoro e vogliono avviare un’attività imprenditoriale, ma sono prive di garanzie da prestare a un istituto bancario, il microcredito rappresenta una vera opportunità. Eliminare per decreto l’Ente nazionale per il microcredito significa operare non per la crescita, specie in un momento di difficoltà come questo, ma contro di essa. Va evidenziato che l’Ente per il microcredito è il beneficiario di fondi europei in virtù della propria unicità e infungibilità quale centro di competenza nazionale. L’Ente ha sottoscritto una serie di accordi interistituzionali su fondi europei per un totale di euro 7.824.249. Tali risorse sarebbero rimaste inutilizzate causando un danno al sistema economico e sociale del Paese e minori entrate per lo Stato. La soppressione dell’Ente determinerebbe il disimpegno di queste risorse e la perdita di risorse professionali altamente qualificate che sviluppano i progetti comunitari per conto dell'Ente».
 


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