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L’azzardo non è gioco perchè nega dignità e libertà

Monsignor Giovanni Giudici, Vescovo di Pavia, da tempo in prima fila nella battaglia contro il gioco d'azzardo di massa è stato intervistato da Vita.it

di Marco Dotti

«Questi atti ripetuti, questi gesti tutti uguali, questa compulsività che chiamiamo “gioco”, ma gioco non è, tocca il grande tema della libertà dell'uomo. E della sua dignità nella libertà». Monsignor Giovanni Giudici, Vescovo di Pavia, è da tempo in prima fila nella battaglia contro il gioco d'azzardo di massa.

Nella sua omelia per la festa del patrono della città, San Siro, Lei si è richiamato all'impegno concreto della comunità contro «la piaga del gioco d'azzardo». Al contrario, proprio la logica che sottende il gioco d'azzardo di massa ci porterebbe a credere che “possiamo vincere” o “salvarci” da soli. Non di meno, certe retoriche sulle cosiddette “ludopatie” insistono sulla responsabilità e la responsabilizzazione del singolo, ritagliandolo come una figura di carta dal suo contesto. Lei cosa ne pensa?
Dobbiamo impegnarci in uno sforzo comune o rimarremo tutti soli. Sono convinto che la comunità si possa e si debba muovere in almeno tre direzioni. Da un lato, debba favorire la consapevolezza del singolo. Deve fargli realmente capire cosa fa, cosa sta facendo e cosa il “gioco” farà di lui e dei suoi cari.

Nei gesti ripetuti ossessivamente dinanzi ad una slot-machine c'è davvero libertà?
Anche senza rivolgerci all'aspetto della patologia, il gioco d'azzardo di massa ha a che vedere con due tratti fondamentali dell'esperienza umana: la libertà e la dignità. Una seconda direzione consiste nello spezzare la logica del “noi-voi”, rendendo consapevoli gli esercenti che nei loro locali ospitano slot-machine di quello che sta succedendo, anche a loro. I guadagni facili, le facili scommesse sulla sorte si riveleranno ben presto, anche per gli esercenti, una disgrazia. Anche loro devono capire. C'è poi un terzo punto, la pressione sulle istituzioni. Le istituzioni devono essere sensibilizzate, da un movimento di opinione, che faccia capire, al di là di numeri e cifre, quanto sta accadendo nelle dinamiche vitali del nostro stare assieme, della nostra vita comune.

A proposito di movimento d'opinione, va detto che solitamente si presta attenzione alle “cifre nere”, ai fenomeni illegiti, a tutto ciò che fuoriesce dallo schema della legge… Mentre gran parte del problema sta “al di qua”, non al di là del guado…
Ci sono delle regole e queste regole vanno fatte rispettare. Il vivere comune deve basarsi su regole. La legge non basta, serve un ethos condiviso che prema per il rispetto o anche per il cambiamento. Questo non significa volersi porre al di là della legge, significa al contrario pretendere che la legge tenga conto delle reali esigenze di una comunità e di una società civile che non può semplicemente subirla, ma deve essere parte attiva di un processo. Per questo ho parlato di mobilitazione civile e di movimento di sensibilizzazione. Dobbiamo chiederci, ad esempio, dove vada a finire questo fiume di denaro – e mi riferisco alla parte lecita dell'attività – proveniente dall'azzardo. Mi pare sia legittimo chiederselo, per capire, non per colpevolizzare preventivamente qualcuno.

Oltretutto, il gioco d'azzardo non produce né ricchezza, né lavoro. Al massimo trasferisce risorse… È singolare che mentre tutto preme affinché si nutra sempre meno fiducia nel prossimo, l'unica fiducia sia riservata a una macchina, la slot machine…
Al di là del suo aspetto ludico, il gioco d'azzardo ha una componente diseconomica fondamentale. Nemmeno si vince, si ha solo la speranza – ma, anche qui, si tratta di una perversione della speranza – di vincere, anche se statisticamente  sappiamo che abbiamo ben poche possibilità di vincere e, in ogni caso, una vincita a una slot-machine non è tale da cambiarti la vita. Ma dobbiamo tener conto del fatto che, in un periodo di crisi e di perdita di posti di lavoro, c'è anche questa componente. La gente ha bisogno di coltivare speranze e il gioco d'azzardo offre flebili speranze a buon mercato. Ma anche questo è un inganno, perché il prezzo – individuale e collettivo – che stiamo pagando è altissimo. I luoghi, gli incontri, le relazioni, gli affetti: in una parola, la dignità, non può essere frustrata in questo modo. Per quanto possiamo, muoviamoci, sensibilizziamo tutti, cerchiamo di far prendere coscienza. Deve muoversi la società civile, perché è sul suo terreno che si sta giocando questa sfida etica fondamentale.


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