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Politica & Istituzioni

Finanziamento ai partiti, Renzi fa sul serio

Ieri 34 deputati legati al sindaco di Firenze hanno presentato un ddl per l'abolizione graduale

di Giovanni Cocconi

È dalla Leopolda 2010, quando il tema non era ancora mainstream, che Matteo Renzi propone l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti. Tre anni dopo l’offensiva sui costi della politica ha acquisito una nuova centralità, anche per banali ragioni elettorali, in una competizione con il Movimento 5 stelle che il sindaco di Firenze considera il più insidioso competitor del Partito democratico.

Ieri 34 deputati renziani (e non solo) hanno presentato un disegno di legge che intende, si potrebbe dire con un mezzo ossimoro, abolire gradualmente il finanziamento pubblico ai partiti. La proposta ricalca quella di iniziativa popolare depositata in parlamento nell’ottobre scorso da Pellegrino Capaldo (Leggi anche “Finanziamento ai partiti? Decidano i cittadini), ma abbassa la soglia di esenzione dal 90 al 40 per cento dei contributi volontari ai partiti, che non potranno superare i 10mila euro. Oltre a tutti i deputati renziani hanno firmato la proposta la bersaniana Michela Rostan, il lettiano Dario Ginefra, Alessia Rotta, vicina a Civati, a conferma che «non intendiamo mettere una bandiera di corrente su un tema oggi molto più condiviso di un tempo, al punto che anche Enrico Letta lo ha inserito nel programma di governo» spiega a Europa l’ex vicesindaco di Firenze Dario Nardella.

Il disegno di legge, che entro domani sarà inviato al sottosegretario alla presidenza del consiglio Giovanni Legnini, intende attenuare anche l’impatto sul corpo del Partito democratico, una struttura di 200 persone comprensibilmente preoccupate per il taglio del finanziamento pubblico. Di qui l’idea di un’introduzione graduale del nuovo regime, in tre anni, un segno di attenzione del sindaco di Firenze verso un apparato che non lo ha mai amato. Un modo morbido per rompere il tabù dei rimborsi elettorali, una strada sulla quale si ritrova anche il tesoriere del Pd, Antonio Misiani, comparso ieri alla presentazione e che anche a Europa aveva confermato che la strada del finanziamento pubblico ai partiti è ormai superata.

Che l’offensiva contro i costi della politica non sia improvvisata lo conferma anche la scelta dei renziani Andrea Marcucci ed Ermete Realacci di rinunciare all’indennità di presidenti di commissione al senato. «Naturalmente non pensiamo che con l’abolizione dei rimborsi elettorali si possano risolvere i problemi dell’Italia ma un segnale simbolico va dato e il Pd ha sbagliato a non farlo in campagna elettorale» spiega Simona Bonafè. Non solo. Si prova anche a prendere in contropiede il Movimento 5 stelle che non ha ancora depositato un disegno di legge in materia. Tre anni dopo la Leopolda 2010, complice anche la crisi, nell’opinione pubblica il tema ha ormai sfondato: conta chi arriva primo.

da Europa 9 maggio 2013


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