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Famiglia & Minori

Benini: l’eutanasia per i minori è un fallimento assoluto

La dottoressa, dirigente medico presso la Clinica Pediatrica dell’Ospedale di Padova e da trent’anni attiva nell’assistenza ai bambini inguaribili, commenta la legge belga che consente di porre fine alla vita dei bambini malati

di Gabriella Meroni

“L’eutanasia per i minori? È un fallimento assoluto. Se si arriva a pensare che sia necessaria, significa che qualcosa è andato storto”. E’ questo il giudizio a caldo sulla legge belga che consente di porre fine alla vita dei bambini malati (contro la quale tra l’altro sono in corso petizioni come questa) di una grande esperta palliativista, la dottoressa Franca Benini, dirigente medico presso la Clinica Pediatrica dell’Ospedale di Padova e da trent’anni attiva nell’assistenza ai bambini inguaribili. “Si tratta di una scelta talmente estrema che mi porta subito a pensare che qualcuno, a monte, non abbia fatto la sua parte”.

Che cosa intende dire?
Intendo che il dolore impossibile da sopportare non c’è, se si mettono in campo tutti gli strumenti che abbiamo per alleviarlo. Bisogna essere onesti e chiedere se tutti questi strumenti sono a disposizione e sono stati utilizzati; il problema è che temo sia più facile parlare di eutanasia che spendere tempo, risorse ed energia per fare la nostra parte come medici e come sistema sanitario.

Qual è la sua esperienza con i minori che soffrono? Le è mai venuto in mente che la morte assistita potesse servire a qualcuno?
Mai. Anzi, le dirò di più: nessun minore che ho incontrato in ospedale mi ha mai chiesto di morire. Se l’avesse fatto, avrei vissuto quella richiesta come un fallimento personale.

Lei è personalmente contraria all’eutanasia?
Non in assoluto. Capisco che ci potrebbero essere situazioni, come quelle di pazienti attaccati a macchine per sopravvivere, nelle quali parlare di eutanasia potrebbe non essere un tabù. Ma nei pazienti oncologici, che conosco bene, il pensiero della morte arriva per motivi diversi dalla malattia in sé: si vuole morire perché si soffre intensamente, perché si è soli o abbandonati da tutti. Non ho mai visto nessun malato inguaribile a cui sia stato tolto il dolore e che sia circondato dall’affetto dei suoi cari che desideri consapevolmente di morire.

Perché secondo lei si parla sempre più spesso di eutanasia in relazione alla malattia in stato terminale?
Temo che sia in atto una dismissione di responsabilità collettiva. Si tende sempre più a delegare le decisioni su terapie e trattamenti medici alla famiglia e ai pazienti, i medici non decidono più. Ma dov’è la condivisione, l’accompagnamento? E’ facile nascondersi dietro l’eutanasia, più complicato realizzare un efficace sistema di cure palliative e ancora più difficile percorrere insieme a un bambino la strada che lo porta alla morte. Ma c’è un’ultima cosa che mi ha dato molto fastidio…

Quale?
L’aspetto da gossip con cui si trattano questi temi, come se chiunque avesse la titolarità di intervenire e dire la sua, dall’uomo della strada all’editorialista. Non è così. Credo che su argomenti come questo gli unici che possono dare opinioni sono coloro che ci sono passati, come i piccoli pazienti e i loro genitori. Le cose cambiano quando si è coinvolti personalmente, le decisioni prese davanti a un caro malato sono molto diverse da quelle che chiunque di noi prenderebbe seduto in poltrona.


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