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Italia-Africa: Eldorado o miraggio?

Il Premier Renzi e il ministro degli Esteri Mogherini domani a Bruxelles per il Summit UE-Africa (2-3 aprile). E’ il segno che l’Italia vuole davvero fare sul serio con un continente abbandonato dalla diplomazia italiana? Per capirlo, Vita ha intervistato Giovanni Carbone

di Joshua Massarenti con Evelina Urgolo da Bruxelles

“Riaccendere i riflettori sull’Africa”. Con questo motto, e sotto la spinta del Viceministro degli Affari Esteri, Lapo Pistelli, l’Italia cerca di rilanciare i suoi rapporti con il continente africano per riscattare gli errori strategici commessi negli ultimi due decenni. E 20 anni di questi tempi sono un’enormità. Basterà l’Iniziativa Italia-Africa lanciata nel febbraio scorso a recuperare il terreno perso? Cina, India, Brasile, Qatar, e più di recente Francia, Regno Unito e Stati Uniti, di terreno continuano a guadagnarne (sebbene con fatica perché oggi l’Africa non intende vendere così facilmente la propria pelle), investendo miliardi di dollari su quello che la Banca Mondiale ha definito “l’ultima frontiera del mercato internazionale”. Secondo stime del Fondo Monetario Internazionale, ben 7 delle 10 economie che registreranno i più elevati tassi di crescita nel quinquennio in corso (2011-2015) appartengono a Paesi Sub-sahariani. E nonostante i problemi strutturali con cui l’Africa deve ancora fare i conti (povertà, conflitti e corruzione, per citare i più importanti), l’Italia non può più ignorare le opportunità immense che si affacciano sulla sponda meridionale del Mediterraneo. Ma la strada è tutta in salita. E non solo per i motivi appena citati. Sebbene il nostro paese possa ancora vantare una buona immagine sul continente e, come sottolinea Giovanni Carbone (co-autore del recente rapporto pubblicato dall’ISPI sulle relazioni Italia-Africa) in questa intervista fatta alla vigilia del Summit UE-Africa, “una struttura industriale forte in settori che interessano i paesi africani, come l’agricoltura, la meccanica strumentale e le infrastrutture”, le debolezze del Sistema Italia (dal crollo degli aiuti allo sviluppo al mancato appoggio del mondo politico e del sistema creditizio bancario, passando per l’assenza di risorse umane imprenditoriali adeguate e l’indifferenza quasi totale e di sicuro colpevole dei nostri media) sono ostacoli duri da superare. Ma bisogna provarci.

La Francia, che versa in una crisi economica altrettanto profonda della nostra, intende raddoppiare i suoi investimenti in Africa nei prossimi cinque anni e creare 200mila nuovi posti di lavoro… in Francia. Affinché l’eldorado africano non diventi un miraggio, l’Italia potrebbe associare lotta contro la povertà e misure a favore degli investimenti, cioè mondo Non Profit e quello profit. Nei nuovi rapporti che l’Italia intende instaurare con l’Africa, l’impresa sociale e le ONG sono attori su cui il governo dovrebbe scommettere. Per ora, ci accontentiamo di due liete notizie: la Conferenza Italia-Africa annunciata per il prossimo autunno e la presenza (inattesa) del Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, al Summit UE-Africa che inizia domani.

 

Il 2-3 aprile 2014  si terrà a Bruxelles il Summit EU-Africa. Oggi l’Europa è il primo donatore internazionale e uno dei principali partner commerciali del continente africano che, al pari di altre aree geografiche, non sfugge agli interessi nazionali degli Stati membri dell’UE. Che cosa caratterizza le relazioni Italia-Africa rispetto ad altri paesi europei come la Francia, la Gran Bretagna o la Germania, solo per citare le potenze più forti?

Quella dell’Italia è stata una parabola discendente: dopo il picco degli aiuti degli anni ‘80, siamo andati disimpegnandoci, salvo occasionali presenze, come ad esempio la pacificazione in Mozambico. L’Italia si è tendenzialmente chiamata fuori, anche in termini di presenza diplomatica, mentre gli altri Paesi menzionati hanno visto prima una fase di disimpegno, con la riduzione degli aiuti nel corso degli anni ’90, e poi un ritorno nell’area, mentre nel frattempo si sono inseriti altri paesi (non solo Cina o India, ma anche Brasile, Turchia ed altri). La Gran Bretagna ha aumentato enormemente gli aiuti e si è avviata verso il raggiungimento dello 0,7% del PIL per la cooperazione, facendo grandi passi avanti con l’agenzia di sviluppo  DFID, che da quando è stata creata, nel 1997, è diventata una struttura di riferimento nel settore. C’è stato inoltre l’intervento in Sierra Leone del 2000, vissuto come un trionfo e che ha accentuato l’interesse nei confronti di questa regione da parte britannica. Nel frattempo altri paesi hanno cominciato a stabilire una presenza sempre maggiore nell’area: un indicatore che mostriamo nel rapporto è il numero delle ambasciate, con ormai Paesi come India, Russia o Brasile che hanno rafforzato la loro presenza diplomatica sul continente africano, proprio a riconoscere l’importanza della regione dal punto di vista economico e non solo.

 

Mentre un’Europa afflitta da mille dubbi affronta una grave crisi economica, l’Africa conosce una crescita senza precedenti. L’Italia è attrezzata per cogliere il boom economico del continente africano? 

Credo che economicamente l’Italia abbia un certo potenziale, politicamente molto meno, anche se penso che stia cercando di attrezzarsi, come ce lo dimostra la presenza del Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, al Summit UE-Africa. Sul piano economico, il sistema delle piccole e medie imprese ha il vantaggio di avere una struttura industriale forte in settori che interessano i paesi africani, come l’agricoltura, la meccanica strumentale e le infrastrutture. Sono settori d’interesse poiché allettano paesi che vogliono percorrere questo stesso tipo di strada, cioè non più la grande industria sovvenzionata dallo stato, ma la creazione di industrie a livello locale attraverso le nuove risorse disponibili. Questo è un punto di forza che ci può avvicinare all’Africa, ma le piccole e medie imprese hanno un numero limitato di persone dedicate all’internazionalizzazione, gli investimenti sono molto costosi, le barriere elevate quindi hanno più bisogno di essere accompagnate rispetto a colossi come ENI: la struttura e le competenze possono essere ideali, ma sono anche più difficili da esportare. Per quanto riguarda la politica, di buono c’è l’iniziativa Italia-Africa del Ministero degli Esteri, in particolare di Lapo Pistelli che fortunatamente è stato confermato in carica e quindi ci permette di sperare in una maggiore continuità della nostra politica africana. L’iniziativa Italia-Africa vorrebbe ragionare su come dar vita a una politica commerciale più strutturale nelle relazioni economiche. La riconferma di Pistelli speriamo serva a affinare qualche strumento, ad esempio portando a termine la riforma della cooperazione allo sviluppo  recentemente intrapresa, che ha anche una componente di sinergia tra cooperazione e piccole e medie imprese.

L’impresa sociale potrebbe in questo contesto avere un ruolo come attore di cooperazione da un lato ed economico dall’altro?

Penso di sì, sia autonomamente, fungendo da tramite tra le conoscenze tecnologiche  del  paese donatore a favore di iniziative imprenditoriali di sviluppo, sia facendo da rete con le imprese italiane. Un tema emerso dagli incontri organizzati durante il rapporto è quello della presenza italiana nel settore sanitario in diversi paesi africani, e la necessità di mettere a rete questo tipo di presenza come facilitazione all’avvento di imprese private, quindi senz’altro hanno un ruolo da svolgere anche le imprese sociali.

Abbiamo parlato della necessità del governo di accompagnare i nostri attori per affermarsi e sviluppare rapporti con il continente africano a tutti i livelli. Cosa possiamo dire del sistema bancario italiano? C’è una presa di coscienza delle opportunità nonostante i rischi che il continente presenta?

Sembra di no,  ad esempio sappiamo che sul continente africano non esistono sportelli di banche italiane, neppure in Nord Africa. In ogni caso ci si aspetta una grande crescita del settore bancario, questo è facilitato dalla transizione al digitale che permette di pensare a servizi bancari rispetto ai quali, fino ad oggi, la penetrazione bancaria in Africa è stata difficile. E’ un settore dato in enorme espansione ma non abbiamo colto segnali in questo senso, forse il nostro settore bancario non è così in salute da volersi spendere in avventure in un altro continente.

Cosa possiamo dire invece dei media italiani? In che modo, oggi, l’Africa e la sua rinascita economica sono percepiti dai nostri media? Sembra che l’immagina che prevalga sia sempre la solita: guerra e povertà, con qualche spunto sul miracolo economico africano. A riguardo, non pensa che i media italiani abbiano una qualche forma di responsabilità nel non cogliere le opportunità che l’Africa potrebbe offrire al sistema Italia?

E’  evidente che i cambiamenti in corso non sono ancora stati comunicati in maniera sufficiente. Rimaniamo legati agli stereotipi quando comunichiamo l’Africa in Italia e questo è un punto che sottolineiamo molto nel nostro rapporto. C’è il problema di far arrivare l’informazione alle imprese e più in generale all’opinione pubblica italiana, ad esempio non ci sono scelte politiche che propongano nuovi strumenti finanziari come garanzia per le imprese interessate a queste aree. Da questo punto di vista anche nel rapporto auspichiamo che la Conferenza Italia-Africa che si terrà in autunno sia anche una vetrina, con una funzione mediatica di proiezione dei mercati a destinatari che altrimenti non coglierebbero quest’informazione altrove. In ogni caso, il problema dell’informazione e della cosiddetta “nuova narrativa sull’Africa” esiste. Detto questo, è interessante notare che una serie di iniziative mediatiche sono apparse in questi ultimi tempi. il Sole24Ore, ad esempio, sta pubblicando settimanalmente una serie di mezze pagine dedicate ai singoli mercati africani (Mozambico, Ghana, Kenya, Nigeria, Angola, Etiopia) con toni molto positivi. C’è poi un’altra piccola ma importante iniziativa editoriale chiamata “Africa e Affari”, un mensile lanciato da alcuni bravi giornalisti romani, molto specializzato, che propone l’Africa associata ad un tema con il quale nel nostro paese non lo è pressoché mai stata, se si fa eccezione per la presenza storica di Eni sul continente. Ci sono cose che si muovono ma siamo ancora lontani dall’ultimo miglio.

Nel vostro rapporto avete identificato otto paesi prioritari. Con quali parametri avete dato priorità a questi paesi che, ricordiamolo, sono Angola, Etiopia, Ghana, Kenya, Mozambico, Nigeria, Senegal e Sudafrica?

Abbiamo cercato di stringere su dei criteri di partenza molto concreti. Il primo è la dimensione del mercato in termini di milioni di abitanti e miliardi di PIL ,almeno 10 per entrambi i dati; il secondo criterio è il tasso di crescita media atteso da qui al 2018, superiore al 5% annuo. Terzo, una situazione di rischio politico ed economico non eccessiva – tenendo conto che si tratta di un’area tipicamente contraddistinta da livelli di rischio alti, abbiamo escluso quelli collocati nella fascia più alta sulla base degli indicatori di SACE e dell’OCSE. Quarto criterio, visto che l’idea è rafforzare le relazioni economiche con l’Italia, il presupposto è quello di una presenza italiana nel Paese nella forma di un’ambasciata. Questi 4 criteri combinati selezionavano 9 paesi su 49, tra questi ne abbiamo scelti 5 e ad essi ne abbiamo affiancati altri tre che invece non soddisfano pienamente i nostri 4 criteri ma che per altre ragioni riteniamo meritevoli di attenzione, ovvero Etiopia, Senegal e Sudafrica. Così siamo arrivati al “pacchetto” di 8 paesi, che però non sono presentati come i posti in cui andare tassativamente, ma come quelli plausibilmente tra i più interessanti, lasciando aperta una discussione in proposito. Rappresentano un’indicazione che vuole essere un invito a scegliere, non una scelta definitiva.

Oggi quali sono le priorità geografiche dell’Italia in Africa?

I legami attuali che vengono coltivati sono con Sudafrica, Mozambico, Angola, Etiopia. Noi abbiamo invitato a puntare di più sull’Africa Occidentale perché secondo noi è un’area imprescindibile e relativamente trascurata. Come mostra la distribuzione delle nostre ambasciate siamo sottorappresentati in quest’area, rispetto all’area del Corno ad esempio. Invece l’Africa Occidentale è un’area molto interessante: c’è il mega mercato della Nigeria, altri mercati come quello del Ghana, o paesi anche “minori” con il Burkina Faso. Per questo abbiamo suggerito tra le righe di riconsiderare quest’area.

La diaspora africana in Italia non appare nel vostro rapporto, perché?

Per problemi legati ai tempi molto ristretti che avevamo a disposizione per elaborare il nostro Rapporto purtroppo. La questione più importante dal punto di vista dell’analisi della diplomazia della crescita sarebbe quella delle rimesse e del ruolo dei migranti di ritorno. L’abbiamo accennata perché in effetti è un tema molto importante giacché si tratta di risorse enormi. Sono tante le cose che abbiamo ancora in cantiere su cui vogliamo continuare a lavorare, e la diaspora è un tema che rimane prioritario.

Quali opportunità ci sono per far conoscere il Sistema Italia presso i media africani?

Fa parte sicuramente di una strategia di rafforzamento delle relazioni. Abbiamo come punto di partenza un’immagine molto forte che viene cercata ancor prima di essere presentata, questo facilita la comunicazione. Siamo percepiti come un paese occidentale relativamente poco invasivo, come portatori di valori, stili di vita e di consumo molto apprezzati, nonché di un modello industriale – quello delle piccole e medie imprese, dei distretti, delle cooperative – a cui ambiscono molti di questi paesi. Sono tutti spunti su cui far leva nel comunicare quello che abbiamo che vale senz’altro anche per i media africani.

 

 


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