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Cooperazione & Relazioni internazionali

Marcos, il signore degli specchi

Un ritratto del subcomandante che «è morto, sacrificato agli indios zapatisti affinchè la battaglia continui, affinchè i morti possano rivivere». Un uomonche ha scelto di farsi da parte per «non fare morire le ragioni zapatiste, non dichiarare chiusa la ribellione dei contadini e degli indios del Chiapas»

di Andrea Spinelli Barrile

La benda nera da pirata sull'occhio destro è l'unico elemento nuovo nell'immagine del Subcomandante Insurgente Marcos: gli altri simboli essenziali ci sono tutti, c'è la pipa fumante che esce dal nero passamontagna, c'è il berretto verde, c'è l'immancabile paliacate (il fazzoletto che i contadini messicani usano annodarsi al collo). L'immagine di Marcos è internazionale: il Subcomandante, che da vent'anni “comanda obbedendo” l'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), è un simbolo, intellettuale e civile, di una guerra a bassa intensità completamente dimenticata. Forse mai ben conosciuta.

Marcos, qualche pelo bianco di barba che si intravede dalle fessure del passamontagna nero, le rughe attorno agli occhi da “uomo bianco”, è romanticamente definitivo nelle sue ultime parole da Subcomandante: lui è morto, sacrificato agli indios zapatisti affinchè la battaglia continui, affinchè i morti possano rivivere. Paradossalmente Marcos scelse di coprirsi con il passamontagna per farsi ben notare da tutti, per amplificare la lotta zapatista: una scelta coraggiosa che la storia ha premiato.

Oggi, altrettanto paradossalmente, Marcos sceglie di sacrificarsi annunciando simbolicamente la propria morte per mano degli stessi indios: l'obiettivo è non fare morire le ragioni zapatiste, non dichiarare chiusa la ribellione dei contadini e degli indios del Chiapas.

Marcos, ancora una volta, sorprende tutti: non c'è più bisogno di un leader, la lotta continua a camminare con le proprie gambe proprio nello stesso modo con cui è cominciata: facendosi domande, osservando, ascoltando e, solo dopo, decidendo: «Esiste ormai una generazione che può guardarci in faccia e ascoltarci e parlarci senza attendersi né una guida, né una leadership, che non pretende né di sottomettersi né di seguire un capo. […] Marcos, il personaggio, non è più necessario».

Parole che dall'anima delle montagne del sudest messicano prendono corpo lentamente negli anni fino ad arrivare a Gezi Park, in Turchia: Marcos lo scrisse anche nel 2012, quando vide questa generazione pronta a prendersi il proprio spazio mettendo in campo le proprie idee, dando vita ai propri sogni. Oggi gli zapatisti non sono più solo in Chiapas, sono ovunque: nel pensiero critico che in Europa ha sempre meno spazio, nelle proteste in Turchia (che continuano ancora nonostante il silenzio mediatico), nella critica alla dottrina islamica, nelle rivolte nordafricane.

Dalla guerriglia marxista nella Selva Lacandona alla sopravvivenza del pensiero critico e indipendente nel mondo globalizzato, che trova nuova forza collettiva grazie alle nuove tecnologie, che avvicinano il mondo sottolineandone le differenze, i colori: la battaglia zapatista è immensa e di proprietà comune.

Marcos muore, ovvero si dimette, perchè Galeano viva: Galeano, al secolo Josè Luis Solìs Lòpez, maestro della Esquelita Zapatista nel Caracol La Realidad è stato assassinato a colpi d'arma da fuoco e machete il 2 maggio scorso da un gruppo paramilitare vicino al partito del Presidente del Messico Felipe Calderòn, gruppo già protagonista in passato di scorribande armate ed atti di sabotaggio e furto ai danni dei villaggi zapatisti. Un assassinio che ha immediatamente riportato alla mente il bagno di sangue di Acteàl, avvenuto il 22 dicembre del 1997 nella chiesa del piccolo villaggio sulle alture Los Altos: 45 indios tzotziles, in gran parte donne e bambini, massacrati mentre pregavano in attesa del Natale, colpevoli di essere Las Abejas, membri di un'associazione diocesana del vescovo Samuel Ruiz.

«Perdonate il disturbo, ma questa è una rivoluzione». Sono passati vent'anni dalla presa di San Cristobal, vent'anni di clandestinità, di lotta intensa, viva, vera: un gruppo di rivoluzionari, in clandestinità già da più di dieci anni, occupava le principali città del Chiapas (un piccolo stato del sudest messicano) prendendo in prestito il nome e le parole del grande eroe nazionale Emiliano Zapata: “Tierra y libertad” chiedeva il rivoluzionario della causa contadina durante la Rivoluzione Messicana del 1910.

Un sogno, quello di Zapata, infrantosi sulla prima, fallimentare esperienza di democrazia diretta e di ridistribuzione delle terre ai contadini: Zapata resta ancora oggi un'icona del riscatto sociale in Messico e divenne il simbolo della rivoluzione, questa sì inarrestabile, che il 1 gennaio 1994 da San Cristobal De Las Casas in Chiapas portò il mondo a conoscere l'EZLN.

La dichiarazione unilaterale di cessate il fuoco da parte dei ribelli zapatisti fu immediata dopo la presa delle città chiapaneche, ma immediata fu anche la repressione del governo messicano (all'epoca il partito al potere, da 70 anni, era il PRI), che armò frange di paramilitari sanguinari (come la famiglia dei Los Aguilares, oggi in odor di narcotraffico) avviando quella “guerra di bassa intensità” che perdura, tra alti e bassi, ancora oggi.

La storia recente della nonviolenza, della cooperazione internazionale, del volontariato e della cultura, in Messico, viene scritta dagli zapatisti e il Subcomandante Marcos ci mette molto del suo: «voce dei senza voce» che insegna il potere di chi «comanda obbedendo» e «cammina domandando», Marcos è stato definito dallo scrittore Manuel Vàsquez Montalbàn «il signore degli specchi», un simbolo che non ha mai voluto essere tale e che, grazie alla sua capacità di essere un guerrigliero ed un intellettuale completamente fuori dagli schemi tradizionali (uno che va in giro con due cartucciere piene e completamente disarmato) ha letteralmente conquistato chiunque lo incontrasse sulla propria strada.

Di Marcos resteranno i libri, scritti con perizia lessicale, gioiosa fantasia, arguzia politica ed un pizzico di misticismo in perfetto stile latinoamericano, le conversazioni con intellettuali e scrittori, l'avvento di internet, del quale Marcos ha compreso e sfruttato il potere divulgativo, riuscendo così a creare la prima rete di cooperazione internazionale clandestina al mondo, una rete che esiste e resiste ancora oggi. Marcos ha consegnato al Messico la modernità del pensiero non allineato, della tutela delle minoranze storicamente schiacciate dalla prepotenza (prima della corona spagnola, poi dei sanguinari governi del Messico indipendente che si proclamava “bolivariano” dalla prepotenza dei trattati internazionali imposti dalle economie nordamericane, domani dalla violenza dell'oblio e della dimenticanza), Marcos ancora oggi predica la nonviolenza in uno dei paesi più violenti al mondo.

L'ultimo guerrigliero delle cause egualitarie è morto domenica 25 maggio con il comunicato di dimissioni, ed il mondo gli deve un tributo, almeno quel mondo che continua a viaggiare in direzione ostinata e contraria.
 

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Leggi il blog di Elena Borzacchiello con il testo del comunicato qui


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