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Milano ha tradito i Monaci Benedettini

Dopo l'ennesima esondazione del Seveso (la terza in 20 giorni) che ha messo in ginocchio il nord della città (Niguarda e Isola) e la voragine che si è aperta in Corso di Porta Romana sono tanti gli interrogativi cui si deve dare risposta a 8 mesi dall'Expo 2015. Vita.it ha intervistato l'architetto ed ex assessore alla cultura Stefano Boeri

di Lorenzo Alvaro

È successo di nuovo. Il Seveso ha esondato nuovamente complici le continue precipitazioni. È la terza volta (la prima era il 9 luglio, la seconda il 18 infine il 29). Niguarda e Isola si sono trovate allagate per tre volte in venti giorni. Il Comune questa volta è riuscito a limitare i danni, avendo instaurato il regime d'allerta. Ma il problema è ormai cronico. Andando indietro nel tempo infatti si scopre che negli ultimi 4 anni il fiume è uscito tredici volte. Dal 1976 le alluvioni sono 108. Insomma non si tratta di una novità.
Ma a Milano non è solo la natura a creare problemi. Anche l'uomo ci ha messo del suo. In Corso di Porta Romana 124, pieno centro, si è aperta nei giorni scorsi una voragine enorme, profonda 12 metri e larga 4. Il motivo sembra essere stato il cedimento di una paratia di legno nei box di pertinenza che avrebbe dovuto essere di cemento armato.

La città sembra in balia del territorio e mancano solo 8 mesi all'inaugurazione dell'Expo Internazionale 2015. Le preoccupazioni crescono. Dagli anni '70 ad oggi nulla si è fatto sul tema delle acque e della permeabilità del terreno. Mentre si è continuato a costruire migliaia di metri cubi di nuove costruzioni. Per capire cosa stia succedendo Vita.it ha chiesto a Stefano Boeri, architetto ed ex assessore alla cultura della giunta Pisapia.
 

Stefano Boeri

Siamo alla terza esondazione del Seveso in venti giorni. Nel frattempo c'è stata la voragine di Porta Romana. Cosa sta succedendo?
Stiamo vivendo gli effetti di una crescita di Milano – negli ultimi 40 anni- che non ha tenuto conto di un necessario equilibrio con la natura – e soprattutto del grande tema delle acque. Capitolo per altro importantissimo perché Milano è una città che vive sull'acqua, che è una delle sue fonti primarie. I fontanili, i canali, le risorgive, i fiumi. Milano a partire dai monaci benedettini e cistercensi è sempre cresciuta regolando, progettando e controllando l'acqua. La crescita degli ultimi anni se n'è dimenticata

Una dimenticanza grave…
Gravissima. Un disinteresse imperdonabile. Nella campagna elettorale del 2010 avevamo posto questo come uno dei primi punti. Un grande progetto per le acque. Se si parla delle falde, della Darsena, dei canali e dell'impermealizzazione dei suoli, si parla in realtà di un unico grande tema che sta nel DNA di Milano.

E poi cos'è successo?
Non saprei perché non faccio più parte della catena decisionale

Di certo però le scelta continuano ad andare in un'altra direzione…
Si, come la piastra di Expo. Nessuno lo dice ma sui terreni dell'esposizione è stata edificata una piastra di un milione di metri quadri. Una scelta efferata di cui non si capisce la ratio, anzi è meglio non capirla. È un danno ambientale. Un'opera inutile e che impermeabilizza ancora il terreno e gli impedisce di assorbire le acque piovane che così, in caso di precipitazioni improvvise e ingenti, raddoppiano la loro velocità e il loro carico…

Quali possono essere delle vie d'uscita risolutive a questo problema?
Sicuramente una grande chance è data dal costituirsi della Città Metropolitana. Sarebbe urgente che la prima scelta fosse di prevedere un grande piano strategico sul sistema delle acque.

Soluzioni al futuro. Al presente però che si può fare?
Ci vuole una classe politica che sia all'altezza della sfida. Questo è il punto. Bisogna far sì che l'area metropolitana diventi un luogo dove si progetta il futuro prossimo del territorio, in cui ci sia un pensiero consapevole e olistico -non parcellizzato- su questi temi. Se realizzi grandi infrastrutture e non capisci che contemporaneamente devi pianificare i corsi d'acqua -assecondarli o ridisegnarli- vuol dire non aver capito cos'è Milano. Non basta attribuire le colpe al passato.

Lei, insieme ad Adriano Celentano, ha proposto il «Paese dove si aggiusta tutto». Un posto in cui tutti potranno portare, nel periodo dell'Expo, le proprie cose per ripararle. Forse dobbiamo tornare ad imparare a riparare le cose, ma forse anche il territorio e le nostre città?
Certo, anche perché nell'idea dell'aggiustare non c'è solo un'attitudine nostalgica o riparativa.  C'è anche un'idea creativa. L'oggetto, l'utensile, il dispositivo, l'opera che viene aggiustata non è mai la stessa di prima. Quando aggiusti, sempre aggiungi e modifichi introducendo qualcosa di nuovo. E questo implica dell'inventiva. Questa inventiva nella cura dell'esistente è una cosa che oggi manca spesso alla politica. Se invece di fare le via d'acqua, ad esempio, si fosse pensato un progetto sui temi del Seveso o del Villoresi legato al sistema delle cascine milanesi (che sono tutte, ripeto tutte, legate ai corsi d'acqua), oggi l'Expo ci lascerebbe in eredità un sistema di corsi d'acqua e di poli dell'agro/alimentazione unico in Europa.

Le via d'acqua non servono a niente?
Non sono navigabili, non sono un canale di sfogo serio, non sono un sistema di irrigazione, esteticamente sono brutte e adesso addirittura si pensa di metterle sotto terra. E abbiamo speso milioni su questa idea. C'è un evidente problema di consapevolezza e responsabilità della politica

Quindi la politica sta sbagliando su tutta la linea?
Il Comune sconta decenni di oblio, verso cui non ha colpe. E il Governo si sta muovendo in modo serio sui temi del rischio ideogeologico, anche sulla questione Seveso. Adesso confidiamo nell'area metropolitana .

Alla luce di tutto questo si può ancora essere positivi sulla riuscita di Expo?
Milano è esattamente al centro di un'enorme e complesso sistema idrico; sulla linea delle risorgive che divide la "pianura asciutta" da quella più fertile. E la storia ci ha insegnato che nei secoli Milano -dai Romani agli Sforza, dai Monaci Benedettini a Leonardo, si è inventata soluzioni straordinarie per gestire l'acqua: bonifiche, canalizzazioni, chiuse, darsene, derivazioni. Oggi, anche grazie all'occasione di Expo, dovremmo riprendere quell'esempio. Penso che Expo possa essere ancora un successo, sia sul piano commerciale che turistico. Me lo auguro veramente. Ma è cruciale ragionare da subito sul post Expo

In che senso?
Innanzitutto bisogna chiedere di cambiare l'art. 3 del regolamento della BIE (Bureau international des expositions) che prevede che l'Expo duri solo 6 mesi e aggiungere che dopo la fine dell'evento principe, ci siano altri 4 anni in cui il luogo resta un patrimonio dell'Expo e della città. In altre parole: grazie anche al semestre italiano, fare in modo che ci sia un Expo 2.0, che dal 1 novembre 2015 possa trasformare il sito in un parco agroalimentare permanente. Sarebbe una soluzione per  ammortizzare i costi su un periodo più lungo, aspettare che si completino le infrastrutture e lasciare a Milano un luogo di grande forza. E poi, dovremmo riprendere l'idea di Prodi di ospitare a Milano l'Authority internazionale sull'Aqua; una grande, opportuna, ragionevole idea.

 


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