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Poletti: «L’impresa sociale è l’economia come la vogliamo»

Il ministro del Lavoro lo ha sottolineato al convegno organizzato dal Forum Nazionale del Terzo Settore e da Acri a Roma. «Lo sforzo che dobbiamo fare è provare a pensare che questo mondo è parte essenziale dell'insieme». Fra gli altri interventi Pietro Barbieri, Paolo Venturi, Gianpaolo Barbetta e Donata Lenzi

di Redazione

«Questo variegato e complesso mondo è in condizione di candidarsi per un cambiamento profondo di tutta la società italiana. Il volontariato, l'associazionismo, l'impresa sociale sono importanti, ma nel tempo abbiamo assunto l'idea che non possono superare una certa soglia, abbiamo faticato a raggiungere l'idea, non che sia “l'ALTRAeconomia, o l'ALTRA società”, ma il modo fondamentale stesso di fare le cose. Ciò che abbiamo davanti, adesso, è un'opportunità di dire che non è l'altra economia, ma è proprio quella che noi vogliamo. Lo sforzo che dobbiamo fare è provare a pensare che questo mondo è parte essenziale dell'insieme».
Sono le parole del ministro Poletti al convegno di oggi organizzato dal Forum Nazionale del Terzo Settore e da Acri (Associazione di Fondazioni e di Casse di Risparmio) a Roma, dal titolo: “L'impresa sociale tra valori, nuovi bisogni e innovazione per lo sviluppo dell'economia sociale”.

È stata un'occasione per riflettere sulla nuova disciplina dell'impresa sociale, e più in generale sull'economia sociale, che è al centro del DDL di "riforma del Terzo Settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale”. Numeri, valori, capacità innovative, intuizioni. Tutto dice che il Terzo settore può assumere il ruolo di cui parla il ministro. Oggi più che mai. Ma occorre “liberare le potenzialità” delle economia sociale. «La strada intrapresa dal governo è quella giusta»,­ ha detto Andrea Fora, coordinatore della Consulta Economia Civile del Forum Nazionale Terzo Settore -. L'economia sociale è sempre di più un settore strategico per lo sviluppo del Paese. Guardare all'opportunità della riforma, significa allora non limitarsi ad una necessaria manutenzione del settore ma puntare al rilancio della partecipazione e del volontariato del cittadino come assi strategici per il riscatto del Paese.

Ma non sono pochi gli ostacoli che impediscono, a differenza di quanto accade in altri Paesi europei, la piena affermazione del Terzo settore anche nel nostro Paese. Alcuni li individua Gianpaolo Barbetta, dell'Università Cattolica di Milano: «serve maggior efficienza, almeno un terzo degli organismi sono troppo piccoli; quindi forte deficit di managerialità, incapacità di organizzare procedure efficaci, e rendere meno pesanti gli sprechi. C'è poi il problema della redditività: questi settori operano in mercati che non consentono di svolgere in modo redditizio il proprio lavoro (non profit significa che non redistribuisce utili, profitti, non che non li produca), perché c'è molta domanda “non pagante”. E c'è anche un problema di partecipazione: i tassi ­ secondo il professore – in realtà, stanno calando. Infine i finanziamenti: «nonostante la forte retorica – ­dice Barbetta – io non vedo molta esigenza di capitale di rischio o di capitale di credito (su questo, il credito bancario, forse c'è maggiore disponibilità, ma non si sa come utilizzarlo bene); vedo molto difficile attivare capitali privati che possano essere attirati anche da uno scarso ritorno economico. Quando c'è il privato è garantito da Fondazioni».

Sul punto dell'efficienza esprime un pare diverso proprio Giorgio Righetti Direttore generale Acri, Associazione di Fondazioni e di Casse di Risparmio: “Terzo settore, ma è troppo frammentato rispetto a cosa?”. Si chiede: «se lo leggo con gli occhi del sociologo che valuta l'impatto sul territorio. Lo ritengo un fatto positivo; con gli occhi dell'economista sono certamente inefficienti. E poi: come si fa a misurare l'impatto sociale? Esempio: le lunghe discussioni di coinvolgimento degli associati sui criteri di gestione sembrano una perdita di tempo ma dal punto di vista della partecipazione producono valori diversi». E conclude: «Non credo che la ripresa possa essere spinta dall'economia sociale, se viene ben venga, ma non è il fine principale del no profit. Non possiamo creare aspettative legittime, ma sovrastimate, se si spinge troppo sul pedale dell'aziendalismo, stiamo buttando a mare un sistema di valori».

Impresa sociale, quindi, sostiene Paolo Venturi di Aiccon, «come paradigma non tanto per l'impatto sull'economia, ma perché è un  metodo, elemento per produrre valore, d'uso, di scambio e di legame. Sfida fondamentale per rigenerare comunità, luoghi e istituzioni». Se allora il Terzo settore deve essere inserito in questo quadro che gli consenta di fare il salto di qualità, evitando di limitarsi al pronto intervento solo «quando lo Stato non ce la fa più e al mercato non interessa», bisogna fare in modo ­ ha affermato ancora Poletti – che l'intervento della società civile sia una componente strutturale delle politiche, a monte, nelle “politiche di presa in carico”, nella regia, mobilitando tutte le agenzie in grado di farlo, (anche e soprattutto a livello locale), mettendo in rete progettazioni puntualmente definite.

Le incongruenze tra questo quadro e gli atti concreti ­ ha riconosciuto Poletti ­ non mancano (vedi l'aumento della tassazione sulle Fondazioni Bancarie): «È il problema che abbiamo di fronte quando assumiamo questa come una dimensione organica per il futuro di questo Paese. Per questo dobbiamo costruire, di volta in volta, le coerenze con gli impegni di medio e di lungo periodo con questo schema. Il problema è tenere insieme, politiche coerenti e l'impianto che abbiamo dato, strumenti e risorse, in modo che ognuno che si pone di fronte questo disegno sappia dove deve andare. Si deve e si può fare questo sforzo, proprio a partire dalla legge delega».

E allora sarà importante ampliare il dibattito pubblico su questi temi, come ha affermato Donata Lenzi, Relatore Disegno di Legge Delega per la Riforma del Terzo Settore, XII Commissione Affari Sociali Camera Deputati, «per evitare che del Terzo settore si abbia un concetto sbagliato o limitato. Continuare l'interlocuzione con i soggetti interessati come è stato già fatto nelle 37 audizioni della Commissione che hanno accompagnato i lavori. E soprattutto – come ha concluso – Pietro Barbieri  Portavoce Forum Nazionale Terzo Settore, evitare di guardarsi l'ombelico, ma chiedersi cosa è veramente utile in questo Paese. Un'innovazione che sta dentro lo sviluppo sociale del Paese, in un sistema capitalistico che in questa fase ha mostrato tutti i suoi limiti, non può non rinnovare e rilanciare un'alleanza contro la povertà, che è il tema centrale oggi, e come Paese dovremmo sviluppare qualcosa di più rispetto a quello che abbiamo finora fatto».


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