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Darfur: 221 donne stuprate per tre giorni consecutivi

221 donne vittime di stupri di gruppo, i carnefici sono tutti uomini delle forze armate sudanesi. Dopo mesi di indagini Human Rights Watch pubblica un rapporto sull'accaduto con le testimonianze delle vittime: «Ci hanno detto: stiamo per mostrarvi un vero inferno» racconta una di loro

di Anna Spena

Tre giorni terribili per 221 donne: molte di loro erano bambine che non superavano gli undici anni.

È accaduto tutto tra giovedì 30 ottobre e sabato 1 novembre 2014. In quei giorni la città di Tabit, 7.000 abitanti, in Darfur è diventata il loro incubo. Vittime di stupri di gruppo, i carnefici sono tutti uomini delle forze armate sudanesi e agenti in borghese dalla base Saf, che si trova a meno di un chilometro dal centro di Tabit.

Ci sono voluti diversi mesi prima che si facesse luce sull’accaduto. La notizia dell'attacco era già stata diffusa il due novembre da radio Dabanga (stazione radio con base Netherlands), ma fu immediatamente smentita dalle autorità sudanesi che hanno insabbiato l’episodio e reso difficoltose le indagini.

Ieri Human Rights Watch ha pubblicato un rapporto sull’accaduto con una ricostruzione dettagliata e attendibile dei fatti, ricca di dati anche numerici ottenuti proprio dalla testimonianza delle donne vittime di violenza. Il conflitto armato tra i gruppi governativi e ribelli sudanese ha devastato il Darfur. «Vogliamo che la gente sappia che stiamo soffrendo. Non vogliamo più soffrire», hanno detto ad HRW le donne sopravvissute allo stupro.  

Il rapporto di HRW descrive come i soldati hanno fatto irruzione nelle case accusando gli abitanti di ospitare un membro delle forze ribelli o di aver ucciso un soldato. Poi uccidevano gli uomini e violentavano le donne rimaste in casa. «Sono entrati in casa in gruppo», racconta la sopravvissuta Khatera. «Ci hanno detto: stiamo per mostrarvi un vero inferno. Hanno cominciato a picchiarci. Hanno violentato uno per uno, le mie tre figlie e me». Due delle figlie di Khatera avevano meno di 11 anni al momento dell’attacco.

Un'altra donna ha raccontato che i soldati l’hanno picchiata e trascinata fuori dalla sua casa. «Erano in 15», dice «Quando sono tornata dentro ho visto che avevano violentato le mie figlie. Gli hanno messo i vestiti in bocca in modo da non sentire le urla».

«Diciotto soldati sono entrati in casa nostra», racconta Nadia, vent’anni, «tre hanno picchiati gli uomini con il dorso dei loro fucili e poi li hanno trascinati fuori. Gli altri quindici uomini hanno violentato noi quattro. Ci hanno picchiato e hanno fatto quello che volevano».

Umm – Jumma , sulla trentina , voleva resistere: «quando hanno visto che volevo combattere contro di loro, mi hanno minacciato con la pistola. Poi mi hanno violentata. C'erano quattro uomini. Due avevano abiti civili. Mi hanno violentata  davanti a mia madre. Lei urlava».

Poche donne hanno potuto cercare assistenza medica. HRW ha documentato casi di membri della famiglia puniti per aver cercato medici in grado di aiutare le vittime. 

 

Foto: ANDREI PUNGOVSCHI/AFP/Getty Images


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