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Cooperazione & Relazioni internazionali

“In Yemen è guerra civile, vietato guardare dall’altra parte”

Intervista a Laura Silvia Battaglia, reporter per testate nazionali e internazionali che vive e lavora tra Italia e Yemen, nelle ore in cui aumentano gli scontri nella capitale Sanaa. "Gli interessi, economici e geopolitici, sono tanti e legati a molti attori. E' sbagliato ridurre tutto a uno scontro tra fazioni religiose o a fondamentalismi"

di Daniele Biella

In Yemen è guerra civile, e la storia di tanti altri conflitti sottovalutati si ripete: si cercano i buoni, si condannano i cattivi, ma poco o per nulla ci si concentra sulle cause. “Anche perché è sbagliato parlare di buoni o cattivi, piuttosto ci sono in gioco diversi interessi a livello nazionale come internazionale”. È un punto di vista privilegiato e, soprattutto, più che autorevole quello di Laura Silvia Battaglia, 40 anni, reporter freelance per varie testate italiane e straniere – da La Stampa ad Avvenire, da Transterra Media a Guernica magazine, docente del corso di Sistemi di sicurezza per freelance in aree di crisi nel Master in Giornalismo dell’Università Cattolica, nel quale è anche senior tutor. Vita.it l’ha raggiunta a pochi giorni dalla partenza per Sanaa, la capitale dello Yemen, dove Battaglia vive molti mesi all’anno con il marito yemenita e dove, come riporta la testata Yemen Times, questa notte ci sono stati almeno otto morti tra i civili a seguito di bombardamenti delle forze saudite contro zone controllate dalle milizie Houthi, avverse al governo attuale presieduto da Hadi, in queste ore fuggito in una località sconosciuta del paese, che confina a nord con l’Arabia Saudita e a sud si affaccia sul Golfo di Aden, a breve distanza da Somalia ed Eritrea.

Quali sono le parti in causa in quella che in questi giorni sta diventando una vera e propria guerra?
In primo luogo è fondamentale ricordare che in Yemen vige un sistema tribale di regole ferree, che in passato ha dovuto fare con le colonizzazioni, soprattutto quella inglese. Dall’unificazione tra Yemen del Nord, in cui vigeva un imamato sciita, e il Sud, comunista, avvenuta nel 1990, chiunque si trovasse a governare doveva riuscire a tenere buone tutte le tribù, in particolare le varie famiglie con più potere, come gli Houthi, sciiti, e gli al Ahmar, sunniti con molto peso negli ambienti militari e commerciali. Saleh, il presidente delle Yemen fino allo scoppio della primavera araba nel 2011, era riuscito in tale lavoro di conciliazione anche grazie alla sua scaltrezza. Che però, unita a una mano sempre più dura verso gli oppositori, l’ha spinto troppo oltre tanto da venire rovesciato dal popolo. Al potere è andato il suo vice, Hadi, che però non ha mai avuto un peso politico riconosciuto dai cittadini, mentre Saleh, a cui è stata concessa l’amnistia e che ora spinge il figlio verso un ruolo politico di rilievo, si è ora alleato con gli Houthi, che vogliono il potere. Quindi da una parte c’è il governo attuale, supportato tra l’altro da Stati Uniti e Arabia Saudita, che nelle ultime ore ha mandato proprie truppe nel paese e bombarda obiettivi dei ribelli Houthi. Dall’altra ci sono questi ultimi, autori degli attacchi di questa notte nella capitale, principalmente su postazioni militari, ma ci sono anche alte due forze in campo che vogliono più potere: i separatisti del Sud e soprattutto i guerriglieri fondamentalisti Aqap, la sigla regionale di Al Qaeda. Poi ci sono altre sigle integraliste minori ma comunque destabilizzanti, come il gruppo Sanaa province, che ha compiuto il sanguinoso attacco dei giorni scorsi anche per farsi rispettare agli occhi dei jihaidisti dell’Isis.

Quali sono gli interessi dei protagonisti del conflitto?
Gli Houthi, spalleggiati dall’Iran, vogliono prendere il potere centrale. I fondamentalisti di Aqap vogliono che lo Yemen sia uno snodo logistico centrale sia per esercitare milizie jihadiste sia per pianificare azioni terroristiche, come in parte sta già avvenendo da qualche anno. Del resto il primo califfato della storia recente, ancora prima di quello di Raqqa, in Siria, è avvenuto nel 2012 proprio in una zona dello Yemen per opera del gruppo integralista Ansar al-Sharia, zona poi è stata ripresa dalle forze governative. Per quanto riguarda Arabia Saudita, Qatar, ma anche Egitto, vicini al governo di Hadi, l’interesse verso l’area è altissimo sia per lo sbocco sul mare sia per la forte presenza di gas e petrolio, oggi non sfruttati per lasciare il primato ad altre zone di sfruttamento. L’attuale conflitto settario, quindi, è indotto da vari interessi economici e la guerra civile sempre più conclamata è il risultato dell’inefficacia del governo legittimo nel far fronte da sé ai ribelli Houthi ma anche nel ritagliarsi un proprio ruolo egemone agli occhi della gente, preferendo invece lasciare spazio a manovre internazionali economiche e militari, come gli attacchi dei droni statunitensi alle postazioni fondamentaliste.

Che ruolo potrebbe avere l’Onu?
È chiaro che nell’ottica del suo mandato, ovvero di mantenere la pace, la strategia geopolitica da tenere è estremamente complessa da trovare. Dovrebbe ritenere fondamentale continuare ad avere un ruolo importante in Yemen perché stiamo parlando di un luogo cruciale da dove combattere la pirateria e i traffici del Corno d’Africa e anche il feroce terrorismo degli Shabaab in Somalia. Con l’escalation in atto, però, un ruolo attivo dell’Onu sui fa via via più difficile e il rischio è che il paese sprofondi nell’anarchia, in balia dei vari gruppi armati.

In Italia si sa poco o nulla di Yemen. Perché ci si dovrebbe interessare di più?
Perché anche se tra due paesi non ci sono interessi commerciali di rilievo è importante capire quello che accade, essendo lo Yemen un punto strategico a livello mondiale. Rendersi conto che i 24 milioni di abitanti yemeniti, di cui 2 a Sanaa, stanno andando incontro contro la loro volontà a una guerra civile tra più fazioni e interessi, non quindi a un mero scontro religioso tra sunniti o sciiti o legato alla ferocia dell’Isis e dei suoi affiliati, è fondamentale per non cadere in errori di valutazione e per chiedere alla comunità internazionale di intervenire per evitare lo scenario peggiore, in ogni modo possibile. Anche perché una guerra metterebbe a serio rischio l'heritage yemenita, in particolare la storia della capitale, che conserva alcuni degli edifici più antichi al mondo e che in passato l'Italia ha sempre dimostrato di voler proteggere.


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