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Cooperazione & Relazioni internazionali

La tragedia del campi profughi di Rostov

Il reportage di Eliseo Bertolasi russista, dottore di ricerca in antropologia culturale ricercatore associato all’ISAG, nostro inviato sul campo

di Redazione

L’occasione, il 14 aprile, di partecipare, in Russia, a una conferenza internazionale organizzata dall’università di Rostov dal titolo: “Problemi e metodologie per l’assistenza socio-psicologica alle vittime del conflitto del Sud est ucraino”. Mi ha dato la possibilità di visitare anche il campo profughi nella città rivierasca di Taganrog. La città che si affaccia sul mare si trova a circa due ore d’auto da Rostov sul Don. 

Sappiamo che la guerra nel Donbass oltre a un numero ancora indefinito di vittime civili tra la popolazione delle due oblast’, quella di Donetsk e quella di Lugansk, che si avvicina drammaticamente già ad alcune decine di migliaia, ha provocato, soprattutto nell’estate dell’anno scorso, quando i combattimenti iniziarono ad assumere le proporzioni di una reale guerra civile un elevato numero di profughi, che, sotto l’attacco delle forze ucraine hanno cercato rifugio nella vicina Russia.

Riguardo a questa tragedia, il capo dell’amministrazione del Presidente della Federazione Russa Sergej Ivanov, recandosi in giugno tra i campi profughi ucraini nella regione russa di Rostov,  definì la situazione in Ucraina “genocidio”: «Una guerra civile, trasformatasi in un genocidio contro il proprio popolo (1)» .  Ma ciò che ha maggiormente sorpreso il capo dell’amministrazione presidenziale, è stata l’assenza dei rappresentanti delle Nazioni Unite sui campi d’accoglienza, un dato, che indica in maniera sconcertante la logica dei doppi standard (in riferimento ad altre situazioni analoghe).

La Russia, però non ha chiuso gli occhi, riguardo ai profughi Ivanov ha sottolineato che: «Non sono colpevoli di nulla, sono un popolo fraterno, è la nostra gente, e noi per loro faremo quanto possibile»; tra le varie opzioni: lo status di rifugiato e lo status di residenza temporanea e, in futuro, anche procedure semplificate per l’ottenimento della cittadinanza della Federazione russa.

Affrontare le dure condizioni climatiche dell’inverno russo, ha portato le autorità competenti russe a dislocare i profughi dalle prime tendopoli immediatamente allestite alla dislocazione dei profughi in strutture ricettive più stabili e strutturate.

Molti profughi sono stati dislocati in varie  città dell’intera Federazione russa; chi è rimasto nella regione di Rostov è stato alloggiato o in alberghi o in strutture che in russo si chiamano “lager” (ma che nulla hanno a che fare col triste significato che in occidente si attribuisce a questo termine), che ricordano le “colonie” che fino a qualche decennio fa in Italia ospitavano i bambini nel periodo delle vacanze estive.

Non è stato difficile raccogliere numerose testimonianze sulle storie individuali di chi ha lasciato tutto, o da chi ha perduto tutto per salvarsi la vita. Tutti però temano a farsi filmare in volto, sanno che i loro parenti che si trovano ancora sul territorio dell’Ucraina potrebbero subire sgradevoli conseguenze.

Alla mia domanda perché ve ne siete andati dal territorio dell’Ucraina le risposte sono tutte molto simili: «come si può vivere quando sulla propria città cade continuamente una pioggia di bombe», che rigorosamente  mi precisano sono partite dall’esercito ucraino. D’altro canto come potrebbero gli stessi miliziani filo-russi, parte integrante della popolazione delle due regione, sparare su se stessi e bombardare le proprie case e i propri famigliari.

Molte delle loro città d’origine le ho viste; attualmente sono delle città fantasma semidisabitate semidistrutte, soprattutto sulle loro infrastrutture sociali: scuole, ospedali..

Alcuni profughi ironizzano sul termine “terroristi”: sappiamo che Kiev chiama le sue operazioni militari nel sud-est dell’Ucraina come operazioni mirate a debellare i terroristi. E mi dicono: «sembriamo terroristi?», davanti a me ho persone anziane, donne, bambini.. Un ragazzo ironicamente aggiunge: «se la popolazione del Donbass fosse realmente composta da terroristi come sostiene Kiev, allora noi saremmo un esercito molto più grande di al-Qaeda!».

Nel giardino del campo vedo giocare molti bambini. Hanno anche molte sale a disposizione dove vedere insieme la televisione, divertirsi, disegnare. La loro responsabile mi racconta che quelli che sono arrivati dalle zone colpite dai bombardamenti e hanno vissuto il terribile trauma psichico di sentire e veder cadere attorno a sé le bombe, nei primi momenti della loro vita al campo ogni volta che entravano in mensa si rifugiavano sotto i tavoli.

Il momento più emozionante è stato toccato quando è arrivato il responsabile del campo per consegnare a una signora molto anziana che combatté sul fronte della Bielorussia durante le Grande Guerra patriottica, ora anche lei con la figlia ospiti del campo, una medaglia rilasciatale dallo stesso presidente Vladimir Putin. L’otto e il nove maggio verrà festeggiato in tutta la Russia con la massima enfasi il 70° anniversario della Vittoria sul nazi-fascismo.

Tra i profughi il desiderio di ritornare nella propria amata terra, il Donbass, è molto forte, la hanno ancora i loro parenti, nessuno però s’illude che questa guerra fratricida e assurda possa finire presto.


(1) Cfr., «Восточный поток, Сергей Иванов проверил, как в российских регионах принимают беженцев с Украины», Vostočnyj potok, Sergej Ivanov proveril, kak v rossijskix regionach prinimajut bežencev s Ukrainy, (una fiumana orientale, Sergej Ivanov ha verificato come le regioni russe orientali accolgono i profughi dall’Ucraina), “Rossijskaja Gazeta”, 20/06/2014, 

Nella foto di copertina un disegno di una bambina scappata dalla guerra. La frase recita: «Signore! Aiutaci, noi non vogliamo morire!»


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