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Media, Arte, Cultura

Rai, 31 mesi senza contratto di servizio

Da oltre due anni e mezzo manca il documento che definisce le priorità del servizio pubblico televisivo. Se i nuovi presidente, amministratore delegato e cda voglio davvero aprire un nuovo capitolo, occorre partire da qui. Anche perché altrimenti non si capisce il senso di pagare il canone

di Redazione

C’è un grande assente nel dibattito che in queste ora sta investendo la Rai e il suo nuovo consiglio di amministrazione. Ed è il contratto di servizio. Ovvero quel documento che dovrebbe indicare le linee guida del servizio pubblico e in ragione del quale i telespettatori utenti pagano il canone. Ecco. Questo documento è scaduto il 31 dicembre del 2012. «Da allora si lavora in regime di proroga de facto», commenta Alessandro Cossu, che per Cittadinanzattiva da diversi anni si occupa del tema. «L’ultimo incontro che abbiamo avuto con i vertici della Rai, risale al 2013 favorito anche dall’impegno di Paolo Gentiloni, si era discusso di come le associazioni potessero partecipare alla costruzione del nuovo testo e di come la rai dovesse approcciare il tema della disabilità. Ci era stato sottoposto anche una bozza del nuovo contratto di servizio da parte dell’Agcom, poi però è calato il silenzio». Che dura fino ad oggi. Da due anni e mezzo in Rai quindi si naviga a vista.

«Di fatto», continua Cossu «ogni responsabile di rete o di programma fa un po’ come crede a seconda della sua sensibilità, senza che per gli spettatori ci sia di fatto la possibilità di valutare la qualità del servizio pubblico, mancando il documento che dovrebbe esplicitare cosa è “servizio pubblico”». E se qualcuno in virtù di questa vacatio si sentisse in diritto di non pagare il canone? «In linea di principio lo potrebbe fare e avrebbe le ragioni per farlo, anche se ormai il canone è una tassa sul possesso».

Veniamo al nuovo Cda. Ancora Cossu: «Se davvero volessero dare un segno di rottura rispetto al passato la prima cose che i nuovi amministratore delegato e presidente dovrebbero fare è quella di convocare un’ampia rappresentanza della società civile, magari anche utilizzando il canale del comitato editoriale di Vita, per mettere a punto un vero contratto di servizio in modo che la trattazione di alcuni temi, penso alla questione di genere oppure alle questioni consumeristiche siano trattati come dovrebbe fare un servizio pubblico».


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