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Londra, così Bp condiziona i musei

La compagnia petrolifera è sponsor di grandi istituzioni come il British Museum e la National Portrait Gallery: ma un rapporto rivela pressioni sulle programmazioni e l’uso spregiudicato delle istituzioni

di Giuseppe Frangi

British Petroleum sotto accusa per le pressioni operate in quanto sponsor di grandi istituzioni museali inglesi. È quanto emerge da un rapporto reso noto oggi da Art not Oil coalition, un’organizzazione da tempo in prima linea su questa battaglia. La grande compagnia petrolifera sostiene tra gli altri il British Museum, una delle più importanti raccolte archeologiche al mondo, il National Portrait Gallery e Tate and Science Museum. Era stato il Guardian, nel febbraio scorso, a rivelare alcune mail arrivate alla direzione del British per influenzarne la programmazione.

In u messaggio ad esempio la compagnia spinge perché nella programmazione del museo entri un festival dedicato al Messico, realizzato in collaborazione dell’ambasciata del paese nordamericano; un paese in cui la compagnia ha importanti interessi. La Bp si dice disponibile ad un’integrazione del contratto di sponsorship che la lega al museo da cinque anni. Secondo la denuncia di Art not Oil coalition, l’evento avrebbe permesso a BP di dare accesso privilegiato ai funzionari del governo messicano. Un’altra mail rivela interferenze su una mostra che la National Portrait Gallery voleva dedicare all’arte degli indigeni australiani.

Inoltre di fronte poi al montare delle proteste alcuni funzionari dei musei sostenuti sarebbero stati invitati a partecipare a riunioni sul tema della sicurezza in uffici di BP, con l’obiettivo di arginare e gestire le voci di dissenso. La stessa BP non è stata a guardare e a marzo ha annunciato la decisione di interrompere la sponsorizzazione (che durava da 26 anni) delle attività artistiche-culturali di un altro museo londinese, la Tate, a causa delle proteste “anti inquinamento ambientale”. Nel 2011 – a un anno di distanza dal disastro ambientale più grave della storia americana, quello di Deepwater Horizon. – gli attivisti di Liberate Tate avevano inscenato una plateale protesta, versando del liquido nero simile a del petrolio su un uomo completamente nudo, rannicchiato in posizione fetale nel bel mezzo della mostra Single Form, allora in corso alla Tate Britain.

Un’altra accusa riguarda l’uso di un’istituzione come il Science Museum, coinvolto in un “advocacy plans” in vista delle elezioni politiche dello scorso anno. « Questo solleva seri interrogativi sul fatto che le istituzioni culturali sono complici nella promozione dell'agenda politica una compagnia petrolifera.», scrive Chris Garrard, tar gli autori del Rapporto.

Una voce interna al British Museum, che ha voluto restare anonima, parla della sponsorizzazione di BP cpme di una forma di “bullismo culturale”. «Tra tutti i finanziatori aziendali, BP è la più sgradevole da affrontare».

E ora in molti si chiedono se non sia venuto il momento di rescindere il legame. Un legame che però, per il grande museo che ospita i marmi del Partenone, vale 500mila sterline l’anno. Ma anche i donatori iniziano ad alzare la voce: i figli di Lord Sainsbury of Preston Candover, che insieme al fratello ha lasciato al British 25 milioni di sterline, hanno scritto al neo direttore del grande museo, Hartwig Fischer, chiedendo di mettere fine all’alleanza con BP.


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