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Berruto: potevo vincere una medaglia, ho preferito la scuola Holden

Il tecnico che doveva andare all’Olimpiade con l’Italia della pallavolo oggi guida l’ente fondato da Baricco: «Nessun altro sport insegna il gioco di squadra come il volley»

di Redazione

Cosa ci fa alla guida della scuola Holden uno che fino a meno di una anno fa faceva l’allenatore della nazionale di pallavolo? Per scoprirlo bisogna tornare indietro di qualche anno e andare sulle tribune dello stadio Olimpico di Torino. «Io e Alessandro Baricco siamo entrambi tifosi granata, ci siamo conosciuti lì». “School of storytelling and performing arts”, così si definisce l’ente che lo stesso Baricco fondò nel 1994. Oggi la proprietà è ripartita fra i quattro soci.

Oltre all’autore di “Tre volte all’alba”, l’inventore di Eataly Oscar Farinetti, l’editore Carlo Feltrinelli e il manager Andrea Guerra. Sono stati loro a scegliere Mauro Berruto, che ha assunto la carica lo scorso gennaio.


Lei ha chiuso con la pallavolo. In modo anche burrascoso. Ha definitivamente cambiato vita?
Non voglio essere finto e falso. Sulla base di questo non ho mai detto di avere chiuso con la pallavolo perché ho un debito di riconoscenza infinito e credo di saperlo fare anche bene quel lavoro lì. Ma deve comparire all’orizzonte un progetto che si in grado di riaccendere un fuoco dentro forte, grande e caldo perché quello che ho lasciato era il più grande possibile. È ovvio che deve succedere qualcosa di grande

La nazionale che a breve esordirà a Rio è la sua nazionale. Quella sqaudra l’ha costruita, accudita e cresciuta lei. Ci pensa?
È ovvio che, avendo preso decisioni poco prima della qualificazione poi avvenuta per i giochi olimpici di Rio, ci pensi. È stato il mio grandissimo progetto, cui ho lavorato per tre anni e mezzo su quattro. Credo che la mia impronta lì sia indubitabile. Dei quattordici atleti qualificati 13 hanno esordito con me in nazionale, dei 14 potenziali per Rio 13 non erano a Londra. La squadra in questi quattro anni è cambiata completamente Eppure ha ottenuto subito un grande risultato, mi riferisco alla medaglia d’argento all’Europeo 2013, il primo anno di grandissimi cambiamenti e ha ottenuto risultati in tutto questo quadriennio e si presenta a Rio con delle possibilità molto molto grandi. È chiaro che averlo lasciato lì per delle ragioni sulle quali non voglio tornare ma che sono legate non a risultati sportivi è qualcosa che dispiace. Non ne sono per nulla ancora indifferente ed è ovvio che man mano che ci avviciniamo alla data di inizio dei giochi di Rio per me diventa sempre più complicato. Ma ora sono a capo dellla Holden.

Perché hanno scelto proprio lei, se lo è chiesto?
Avevo da qualche giorno lasciato nel modo burrascoso ormai noto la Nazionale maschile. Baricco mi chiama. In quel momento era sia il preside, sia l’amministratore delegato della Holden. Mi dice che per varie ragioni voleva lasciare questa seconda carica e aveva pensato a me. Mi sono preso un paio di mesi per pensarci su. Poi ho detto sì.

Come cambierà e sta cambiando la scuola con il suo arrivo?
Ci sono delle linee di sviluppo che erano state tracciate prima del mio arrivo. La prima è quella collegata alla mission. La Holden deve continuare a crescere come luogo di costruzione di narratori. Lo deve fare però in una scala più alta. Dal 2013 ad oggi siamo passati da una trentina a oltre 300 studenti. Non solo racconto scritto però. Oggi la scuola propone otto college: cinema, teatro, televisione, reporting, digital. Da settembre Andrea Guerra si occuperà della formazione di storyteller aziendali, una figura di stampo umanista sempre più richiesta dal mercato. Da quando sono arrivato io abbiamo provato a valorizzare proprio gli aspetti più innovativi delle metodologie della comunicazione. In questa ottica stiamo riformulando la nostra didattica: l’idea è che ci sia la più ampia pluralità di punti di vista, che le contaminazioni siano profonde. La narrazione non può essere solo racconto. La narrativa legata al mondo dell’impresa ormai richiede che a fianco di produzioni letterarie e cinematografiche, ci siano cortometraggi, clip, spettacoli, produzione di eventi a misura d’azienda.

Prima di lei, altri grandi allenatori della pallavolo si sono affermati come grandi maestri di comunicazione, penso a Velasco e Montali…
La colpa è di William Morgan, educatore statunitense e inventore della pallavolo. È lui che ha ideato e scritto una regola geniale, mai pensata da nessun altro e per nessun altro sport: nella pallavolo l’azione individuale è vietata per regolamento, il passaggio è obbligatorio. È l’essenza del concetto di team building. Tu allenatore vieni valutato per quanto vinci e per quanto perdi. Però per arrivare al risultato non puoi prescindere dall’idea di squadra, di collettivo. E non lo suggerisce l’altruismo o la tattica. Lo impone il regolamento. Questa regola inevitabilmente spinge le persone a sviluppare un certo tipo di attitudine.



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