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Il cupping: moda, mito o realtà?

I fisiatri del Simfer mettono in guarda dalle facili ilusioni e dai potenziali rischi di una metodica, in italiano "coppettazione", che ha attirato l'attezione di tutti dopo che le immagini degli atleti olimpici che vi hanno fatto ricorso hanno fatto il giro del mondo

di Antonietta Nembri

C’è ancora chi si ricorda dei cerottoni blu sulla schiena di Balotelli durante gli Europei del 2012: si trattava di un metodo molto diffuso tra gli sportivi e che si chiama elastotaping o kinesio taping e che dopo l'esibizione era diventato di gran moda. Ora a finire sotto gli occhi di tutto il mondo sono stati i vistosi lividi circolari in varie parti del corpo, tra gli altri sportivi, del nuotatore statunitense plurimedagliato Michael Phelps. I segni erano stati causati dal “cupping”, una tecnica basata sull’applicazione di una specie di ventosa che “risucchia” la pelle e i tessuti sottostanti e che viene proposta per trattare diversi problemi, trai quali i disturbi muscolari che possono colpire chi fa attività sportiva.

Le immagini di Phelps e quelle relative ad altri atleti hanno fatto il giro del mondo e sono bastate quelle immagini ad accendere i riflettori su una metodica che è conosciuta da tempo, ma la rilevanza mediatica ha scatenato la fantasia del web e di altri media, alimentando come si legge in una nota della Società italiana di medicina fisica e riabilitativa (Simfer) «facili illusioni sui suoi poteri taumaturgici».
Arrivano così dalla Simfer alcune informazioni sul tema per «aiutare il pubblico a comprenderne le possibili indicazioni, i limiti ed i rischi, e per evitare il ricorso indiscriminato ed inappropriato ad una metodica solo apparentemente innocua».

In italiano il cupping prende il nome di “coppettazione”, termine che, spiega il fisiatra Giampaolo de Sena «deriva dall’utilizzo di coppette trasparenti, solitamente in vetro, nelle quali viene fatto il vuoto con differenti metodiche. Questo vuoto, quando la coppetta viene posta a contatto con la pelle, provoca un effetto di risucchio che provoca “ematomi a pois” dovuti al richiamo di sangue sugli strati superficiali della cute. Questa metodica ha origine nella medicina tradizionale cinese e da un tempo relativamente recente è stata studiata, con metodo scientifico, in ambito riabilitativo».

Inoltre, alcuni esperti del gruppo di studio Simfer sulla Medicina Basata sulle Evidenze hanno esaminato le pubblicazioni che hanno cercato di valutare in modo scientifico l’efficacia terapeutica di questa metodica. «Vi sono diverse revisioni sistematiche, cioè studi che raccolgono e confrontato i risultati di diverse ricerche singole», affermano i fisiatri Stefano Mazzon e Roberto Iovine, «la metodica è stata applicata in varie patologie come l’herpes zoster, l’acne, il dolore della colonna cervicale e lombare, l’ipertensione, l’ictus cerebrale, ma la maggioranza degli studi non è risultata sufficientemente rigorosa per esprimere un giudizio definitivo sull’efficacia terapeutica».

Alcuni studi hanno evidenziato un effetto antidolorifico del cupping: tuttavia la rilevanza clinica, cioè la reale entità del beneficio ottenuto, non è stata dimostrata in modo conclusivo.

Gli effetti collaterali sono limitati ma comunque possibili, come le lesioni e le infezioni cutanee (specialmente nella forma detta “wet” cupping che prevede l’incisione della cute). «Per ricordare che anche pratiche terapeutiche apparentemente poco invasive non sono scevre da rischi anche gravi», aggiungono Mazzon e Iovine, «segnaliamo che in letteratura è stato presentato un caso di emorragia cerebrale correlato ad una crisi ipertensiva dopo un cupping della regione cervicale».

Quindi, in base ai dati disponibili attualmente, la metodica del cupping – conclude la nota del Simfer – non è raccomandabile come misura terapeutica di scelta, né come intervento a sé stante, in presenza di altre possibilità di efficacia più comprovata; è inoltre necessario che, qualora essa venga effettuata, sia accompagnata ad una precisa valutazione medica e un corretto inquadramento diagnostico, in modo da inserirla in un adeguato progetto riabilitativo che tenga conto anche dei possibili effetti negativi.

In apertura il nuotatore statunitense Michael Phelps in una foto di Odd Andersen/Afp/Getty Images


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