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Cooperazione & Relazioni internazionali

Quello scontro tra vescovi e Regione Emilia Romagna sui migranti

I dati del 25esimo rapporto Caritas-Migrantes parlano di una Regione maglia nera nell’accoglienza dei rifugiati. «Siamo una delle regioni che accoglie di più», replica la vice presidente regionale. Ma i numeri dicono il contrario

di Lorenzo Maria Alvaro

L’Emilia Romagna è ultima nella classifica delle regioni che accolgono chi fugge dalla guerra. A dirlo è il 25° rapporto Caritas – Migrantes.

Di per sé non si tratterebbe di una notizia visto che il Rapporto è stato pubblicato nel luglio scorso. Ma a quanto pare in Emilia, le istituzioni, non se ne erano accorte. Il rapporto infatti è stato illustrato ieri a Bologna, compreso il dato che parla di due rifugiati ogni mille abitanti per l’Emilia, contro numeri molto più alti anche per rtegioni più èpiccole e più soggette alla crisi. Il Molise a d esempioo vanta 11 rifugiati ogni mille abitanti.

La polemica

Il dato numerico è condiviso dalla Regione Emilia Romagna, ma ne viene fatta una lettura diversa, innescando così una polemica tra la regione stessa e la Conferenza Episcopale Italiana.

La vice presidente della regione Emilia Romagna, Elisabetta Gualmini ha infatti commentato «Rimango molto perplessa di fronte alla interpretazione della Fondazione Migrantes. Non ha molto senso paragonare i cittadini stranieri residenti nella nostra regione da oltre 30 anni con i richiedenti asilo negli ultimi 4 anni perché i due fenomeni sono radicalmente diversi. In entrambi i casi siamo una delle regioni che accoglie di più, non in termini relativi, ma in termini assoluti, provando anche ad inserirli nel mondo del lavoro con oltre 1.000 profughi impegnati in attività di pubblica utilità».

«Questo non è un bel numero – ha invece insistito il direttore della Fondazione Migrantes, monsignor Giancarlo Perego – in Emilia Romagna gli immigrati economici sono circa 536mila, oltre il 12% della popolazione, un dato che la porta ad essere prima in Italia, certo. Le porte, invece, si chiudono per chi ha ottenuto asilo e il gesto è motivato dalla paura, ma davvero possiamo pensare che per Bologna possa essere un’emergenza ospitare mille persone? Durante la prima guerra mondiale, dopo Caporetto, le famiglie emiliano romagnole accolsero 60mila immigrati per tre anni».

L’arcivescovo di Bologna, Matteo Zuppi ha provato a guardare avanti, suggerendo la strada per uscire da quella che non si vuole chiamare emergenza: «Il 60% della persone che votano a Bologna non sono nate a Bologna. Io non credo che una città così abbia perso la sua capacità di accogliere, penso, invece, che ci si arrenda davanti alle difficoltà perché non esiste un percorso di accoglienza. Manca un sistema che indirizzi il rifugiato verso le realtà o le famiglie che lo possono accogliere. In questo modo si arriva alla situazione che sta vivendo adesso il nostro prefetto, che sta lavorando giorno e notte sperando di avere risposte affermative alla sua richiesta di trovare la giusta collocazione per tutti i rifugiati che sono affidati alla città. Noi stiamo facendo la nostra parte, anzi mi verrebbe da dire che tutti stanno facendo la loro parte, ma le nostre risposte non sono organizzate, quindi si disperdono».


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