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La Rai come un gambero. Anzaldi: «Non fa mai un passo avanti, sempre due indietro»

Il caso-Perego sulle donne dell'est è solo la punta dell'iceberg. Avanza, in Rai, una visione mortificante e sciatta della realtà. Perché il servizio pubblico non riesce più a essere tale? Ne parliamo com Michele Anzaldi, della Commissione di Vigilanza

di Marco Dotti

Il caso-Perego sulle «donne dell’est» non è purtroppo un’eccezione. In Rai, nei contenitori del pomeriggio è la normalità. Ma c’è una gran dose di ipocrisia nel cancellare quel programma e non porsi domande più serie, sul contesto, le scelte e la radice del male.Se c’è qualcuno che ha qualcosa da dire, questo è l’onorevole Michele Anzaldi, della Commissione di Vigilanza Rai, che da mesi, su Vita, segnala il problema.

Onorevole Anzaldi, parliamoci chiaro: perché io dovrei pagare il canone per avere un servizio pubblico che, a giorni alterni, mi descrive gli immigrati come molestatori, invasori e quant'altro e poi, quasi per contrappeso, mi dà un'immagine patinata e anche stavolta per nulla corrispondente alla realtà, oltre che offensiva? Poi il canone lo pago, beninteso, ma la domanda mi resta…

Il caso di “Parliamone sabato” ha fatto emergere la visione sciatta e stereotipata della realtà che purtroppo non di rado si trova anche sul servizio pubblico. E’ l’allarme che lancia anche Anna Zafesova sulla “Stampa” oggi: perché, se c’è un immigrato, appare sempre “sdentato, trasandato e semianalfabeta, mai un dottore, un imprenditore, un professore, uno studente”? Lo stesso è accaduto per le cosiddette “donne dell’Est”. Ecco, anche su questo dal servizio pubblico pagato da quasi due miliardi di euro di canone degli italiani e non, perché ricordiamoci che da quest'anno paga chiunque ha un'utenza elettrica e la popolazione di origine straniera nel nostro Paese è sempre più popolosa, ci si attende ben altro atteggiamento.

Possibile che in Rai passi oramai di tutto, tranne ciò che – ne abbiamo parlato molte volte – dovrebbe passare: il sociale, la società civile, il messaggio di civiltà e speranza sulle carceri… Sembra un muro di gomma…
La Rai ha dei doveri, proprio su quei temi che possono apparire meno interessanti per le tv commerciali e che invece una tv pubblica ha il dovere di approfondire. Ma c’è anche la questione dei controlli. Il caso delle donne dell’Est non si risolve chiudendo o meno un programma: la Rai deve fare chiarezza sulla catena di controllo dei suoi palinsesti. Ci sono direttori, vice, vice dei vice, capi struttura e i loro vice, tutti strapagati: chi controlla cosa va in onda? Possibile che nessuno abbia avuto un dubbio sulla trasmissione di sabato? Parliamo del pomeriggio della prima rete Rai e non una fascia oraria notturna in qualche rete di nicchia. Su questo chiediamo da mesi che l'azienda chiarisca. La semplice chiusura di spazi è divenuta il tratto caratteristico di questa Rai. Oltre tutto potrebbe rivelarsi l’ennesimo regalo di audience alla concorrenza.

Torniamo ai "migranti". Oggi tra coloro che spregiativamente chiamiamo migranti, abbiamo forse futuri premi Nobel, economisti, matematici… non "dame di compagnia". Come siamo arrivati a tanto degrado nell'informazione?
La Rai sembra essere andata indietro, invece che avanti. Non ha avuto la sensibilità di comprendere come sia cambiata la nostra società. Basta chiedere ai nostri figli, che si trovano in maniera ordinaria ad avere compagni di classe di origini diverse, che parlano italiano come loro e fanno esattamente le stesse cose. Il servizio pubblico è andato indietro sull’informazione. Ha chiuso spazi e trasmissioni, ridotto notiziari, ma soprattutto in quei pochi spazi rimasti è sembrata andare a rimorchio delle tv commerciali. Certi toni, certe tematiche sembrano inseguire più la concorrenza, perdendo di vista i doveri di equilibrio, imparzialità, pluralismo e professionalità di una rete pubblica.

Eppure, quando film, inchieste, programmi culturali vengono mandati in onda in prima serata è boom di ascolti. Che strano paradosso, non trova?
Non solo i film, anche la buona informazione può fare ascolti. Abbiamo esempi di qualsiasi tipo nella storia della tv. Ma occorre tornare a scommetterci. La Rai ha tante risorse interne, è la prima redazione giornalistica del Paese con 1.700 giornalisti. Perché vediamo in tv sempre e solo gli stessi? Perché gli opinionisti invitati sono sempre gli stessi, magari già visti sulle tv della concorrenza? Abbiamo il paradosso di una rete che, con le tante risorse di cui dispone, ha deciso di affidare ad un’unica conduttrice ben due trasmissioni.


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