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Cooperazione & Relazioni internazionali

La Somalia perde Mario Raffaelli assegnato ad altro incarico, un vero peccato!

di Giulio Albanese

È di ieri la notizia che le truppe etiopiche avrebbero ripreso il controllo di Bardhere, poco meno di 500 chilometri a est di Mogadiscio, oltre ad altri centri di minore importanza nella stessa zona. Dunque, in questo frangente i militari di Addis Ababa sarebbero all’offensiva con l’intento di assicurare terreno alle forze lealiste, quelle fedeli al governo di transizione somalo. Pare comunque confermata, almeno per ora, la loro ritirata dalla Somalia sebbene le operazioni di disimpegno appaiano sempre più lente e complesse. Comunque, secondo la maggioranza degli osservatori, il ritiro degli etiopici potrebbe consentire in tempi brevi, anzi brevissimi, la spallata finale degli insorti, poiché la forza di peacekeeping panafricana (circa 3.400 degli 8.000 uomini previsti), non pare assolutamente in grado di reggere alcuna offensiva, come anche i reparti filogovernativi somali. Da rilevare che sebbene gli etiopici fossero entrati repentinamente a Mogadiscio alla fine del 2006 – con il sostegno della Casa Bianca, sbaragliando i miliziani delle Corti islamiche, che fino a quel momento avevano il controllo di quasi tutto il Paese – fecero di tutte le erbe un fascio. Gli invasori infatti costrinsero alla fuga dalla capitale anche quelle componenti moderate del cartello islamico disponibili ad interloquire con la comunità internazionale. Ora, a distanza di due anni dall’ingresso degli etiopici in Somalia, il paradosso sta nel fatto che non solo gli insorti islamici potrebbero riprendere il potere in tempi brevissimi, ma nel frattempo la loro leadership è passata definitivamente nelle mani degli estremisti di “al Shabaab” che già applicano spietatamente la sharìa, la legge islamica – recente la lapidazione di un’adolescente accusata di adulterio – nei territori sotto il proprio controllo. E mentre proseguono ad oltranza le scorribande dei pirati somali nelle acque dell’Oceano Indiano e particolarmente del Golfo di Aden, l’International Maritime Bureau (Imb) ha diramato in questi giorni un’informativa nella quale si legge che sono 15 le navi in ostaggio di queste bande anfibie, oltre a 300 persone appartenenti ai vari equipaggi in attesa di rilascio. Nel solo 2008 sono stati oltre mille gli attacchi sferrati contro unità mercantili, per un totale di 120 milioni di dollari di riscatti incassati. Intanto, di fronte a questo scenario scandito quotidianamente dall’anarchia, l’uscita di scena, annunciata nei giorni scorsi, del più autorevole e competente mediatore tra le parti in conflitto, l’inviato speciale del governo italiano Mario Raffaelli, non fa altro che acuire lo stallo in merito alle possibili iniziative negoziali. Raffaelli, che si è sempre distinto per sagacia e oculatezza, è stato “curiosamente” assegnato dalla Farnesina ad un altro incarico. Dal mio punto di vista si tratta di una gravissima perdita considerando che stiamo parlando di un personaggio fuori dal comune che, con grande coerenza, si è sempre battuto in favore della via negoziale (quella del dialogo) contro i fautori del braccio di ferro (americani in primis), sostenendo in particolare la tempestività e concretezza politica nell’applicazione dell’accordo di Gibuti (ratificato il 19 agosto scorso), il cui fallimento avrebbe aperto, secondo lui, la strada a scenari imprevedibili. Come dargli torto, visto e considerato che le sue previsioni sono sempre state corrette, rispetto a quelle formulate da certe cancellerie occidentali o da certi funzionari sprovveduti delle Nazioni Unite? Intanto, a pagare il prezzo più alto è come al solito la povera gente. In Somalia gli sfollati sono oltre tre milioni, circa un terzo dell’intera popolazione, costretti a vivere in condizioni disumane.


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