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Cooperazione & Relazioni internazionali

Rwanda: presidenziali, plebiscito annunciato per Kagame

di Giulio Albanese

Se  il Rwanda non fosse stato il teatro di una delle più orrende mattanze della storia umana, forse le odierne elezioni presidenziali passerebbero in sordina. Stiamo parlando di un piccolo lembo di terra, nel cuore della Regione africana dei Grandi Laghi; sconosciuto, alla gran parte dell’opinione pubblica mondiale quando, nell’aprile del 1994,  iniziarono i feroci massacri a seguito dell’abbattimento dell’aereo del presidente Juvénal Habyarimana. Sono trascorsi oltre sedici lunghi anni d’allora, eppure i condizionamenti  inferti dal genocidio continuano a pesare come una spada di Damocle sulla vita della popolazione locale, lacerata da profonde divisioni. E dire che il Rwanda sembrava fosse uno di quei Paesi, quanto a battesimi e devozione, in cui il Vangelo avesse messo radici più che in altre nazioni africane. La storia d’altronde ci insegna che le comunità sono fatte di uomini e di donne che a volte, in giro per il mondo, non si sono realisticamente confrontate col Vangelo e con le sue incarnazioni. Basti pensare ai disastri perpetrati da certi regimi, in tempi anche recenti, sui Balcani, nella cosiddetta Europa cristiana.

Sta di fatto che, tornando al nostro ragionamento sul Rwanda, contrariamente a quanto si pensa, il genocidio è andato avanti ben oltre la soglia degli anni ’90. Prima a morire furono centinaia di migliaia di tutsi, l’etnia minoritaria vessata impunemente dalle milizieInterahamwe, oltre a un numero non indifferente di hutu moderati, il gruppo etnico demograficamente maggioritario e fino ad allora dominante. Successivamente, si passò alla vendetta dei vincitori che passarono all’arma bianca non solo i loro acerrimi nemici, ma anche tantissimi profughi hutu, perpetrando una vera e propria pulizia etnica, soprattutto nelle foreste dell’ex Zaire, da Shabunda a Walikale, fino a Tingi-Tingi. Dunque, anche l’attuale classe dirigente ruandese ha le sue grandi responsabilità, a partire da Paul Kagame presidente uscente e grande favorito nella competizione elettorale. Fu proprio lui, è bene rammentarlo, a condurre vittoriose le truppe del Fronte Patriottico Ruandese (Fpr) a Kigali, dando vita al  nuovo corso politico che certamente non ha brillato in termini di democrazia. Non è un caso se il Consiglio di Sicurezza dell’Onu non ha rinnovato nel 2003  l’incarico a Carla Del Ponte, che guidava la procura del Tribunale penale per i crimini in Rwanda. L’ipotesi di aprire inchieste anche sul Fpr – preannunciata dal magistrato elvetico – suscitò infatti le ire di Kagame che fece pesare le sue influenti amicizie a Washington e dintorni.

Ma per comprendere le malefatte del regime di Kigali, basta dare un’occhiata a quanto denunciato nei giorni scorsi da Reporter Sans Frontières (Rsf). Si parladi assassinii, condanne e detenzioni dei giornalisti, chiusura dei mezzi di comunicazione. Un bavaglio che ha stretto la sua morsa con l’approssimarsi del voto. E naturalmente a pagare il più alto prezzo sono soprattutto gli avversari politici di Kagame, come nel caso di un elemento di spicco delPartito verde democratico del Rwanda, André Kagawa Rwisereka rinvenuto senza vita la mattina del 14 luglio scorso, poco lontano dalla propria auto. Gli omicidi negli ultimi mesi sono stati diversi, oltre a svariati arresti di membri delle opposizioni. Si allungano così le ombre su Kagame e sul suo governo. D’altronde, se si considera che la popolazione ruandese conta circa 10 milioni di abitanti ma e che gli elettori iscritti sono poco più di 5 milioni, si comprende facilmente perché quello di Kagame è un plebiscito annunciato. Certamente lo scenario geopolitico è profondamente mutato nella Regione dei Grandi Laghi, rispetto agli anni ’90, con l’ingresso dei cinesi che condizionano non poco l’iniziativa occidentale, sia americana che europea. Ma Kagame, avendo l’esercito dalla sua parte, sa bene come giostrarsi con le grandi potenze. In fondo si sente con le carte in regola:  ha attuato una politica di sviluppo incentrata sui servizi e le nuove tecnologie, ma anche sulla modernizzazione delle attività agricole. Anche se poi l’agognata riconciliazione nazionale per ora rimane un miraggio.


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