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Cooperazione & Relazioni internazionali

Cosa c’entrano i bombardamenti sulla Libia con la “No-fly zone”?

di Giulio Albanese

La domanda sorge spontanea: era proprio necessario bombardare la Libia? In effetti, negli ambienti diplomatici, da diversi giorni, circolava insistentemente l’idea di attuare una “No-fly zone” per dare una mano alla ribellione contro il regime di Muammar Gheddafi. Sta di fatto che se letta attentamente, la risoluzione 1973, votata venerdì scorso dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu, va ben oltre il semplice divieto di volare sul territorio libico. Infatti, il provvedimento prevede non solo operazioni di monitoraggio del territorio africano da parte della coalizione internazionale, ma anche raid mirati contro le postazioni radar, l’artiglieria, e le truppe corazzate libiche. Inoltre sarebbe addirittura consentito l’impiego di forze speciali in azioni dirette sul campo. Insomma, l’unico limite invalicabile è l’occupazione militare della Libia da parte di eserciti stranieri, ma per il resto è guerra aperta. Per un Paese come il nostro, così vicino alle coste africane, l’operazione in corso nei cieli libici, denominata “Odyssey Dawn”, crea inevitabilmente una certa apprensione. Ecco perché viene istintivo chiedersi come mai le grandi cancellerie occidentali abbiano perso così tanto tempo, consentendo all’esercito di Gheddafi e soprattutto ai suoi mercenari di arrivare alle porte di Bengasi, la città della Cirenaica roccaforte dei ribelli. In fondo, sarebbe stato sufficiente impedire i rifornimenti aerei che in queste settimane hanno consentito al regime di Tripoli di ricevere dall’estero mercenari, armi e munizioni. Non è un caso se la Lega Araba domenica ha duramente criticato i bombardamenti della coalizione rilevando che queste azioni vanno ben oltre l’interdizione del volo aereo sulla Libia. Ma sugli intrecci di alleanze e tradimenti nella crisi libica, si potrebbero versare fiumi d’inchiostro. Per esempio, come mai l’Unione Africana (Ua) si è dichiarata contraria a “Odyssey Dawn”? A pensarci bene, è come se l’Onu avesse autorizzato le operazioni belliche nella ex Jugoslavia senza il consenso dell’Unione europea (Ue). Forse la ragione principale, come peraltro già scritto su questo Blog, risiede nel fatto che il governo di Tripoli copre il 15% del budget annuale della Ua. Inoltre va considerato che diversi governi africani stanno in piedi grazie al sostegno offerto da Gheddafi: dal Ciad alla Liberia, per non parlare della Repubblica Centrafricana. E pare che molti dei mercenari che in queste ore combattono al fianco del Rais provengano proprio da questi Paesi. Intanto al Palazzo di Vetro circola una voce che, se fosse confermata, aprirebbe scenari inquietanti. Nizar Abboud, corrispondente dal Palazzo di Vetro del giornale libanese “Al Akhbar”, ha scritto che uno dei figli di Gheddafi, Safir, si sarebbe recato due settimane fa in Israele per prendere accordi con il governo Netaniahu sulla fornitura di altri mercenari e per ricevere vari tipi di aiuti. Nizar avrebbe appreso la notizia da fonti qualificatissime all’interno dell’Onu. Curiosamente finora questo collega non pare abbia ancora ricevuto alcuna smentita, né dal regime di Gheddafi né dagli israeliani…. Sarà vero? Certo per Tel Aviv e i Paesi occidentali in generale questo ribaltone nel mondo arabo sta mettendo a soqquadro l’intera geopolitica di uno dei gli scacchieri più sensibili del nostro pianeta, quello che include il bacino del Mediterraneo e vasti settori del Medio Oriente. E dunque, a questo punto, tutto è davvero possibile.


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