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Startup di ultima istanza

di Flaviano Zandonai

In un’epoca in cui fare startup è di moda grazie a un immaginario che fa rima con digitale, innovazione, coworking e chi più ne ha più ne metta, l’articolo dell’edizione milanese de La Repubblica di qualche giorno fa è un pugno allo stomaco. Secondo un’indagine della Camera di commercio di Monza e Brianza il 39% delle nuove imprese (startup pure loro) sono costituite come “ultima istanza” da imprenditori che hanno perso l’occupazione precedente e che quindi rischiano di essere definitivamente espulsi dal mercato del lavoro. I tassi di mortalità sono però elevatissimi: nove su dieci chiudono entro un anno. Il microcredito, da questo punto di vista, svolge un ruolo importante. Ma altrettanto rilevante è l’accompagnamento alla creazione (o, in qualche caso, alla non creazione) d’impresa. Un insieme di attività che su questo fronte richiamano da vicino interventi di politica sociale e del lavoro. Ci sono esperienze interessanti che andrebbero approfondite. Ad esempio imprese sociali che si sono accreditate come centri di servizio a cui possono rivolgersi i possessori di voucher per la costituzione di nuove imprese. Imprenditori appartenenti a fasce deboli rispetto ai quali dovrebbero riorientarsi anche le reti sociali pubblico / private che in questi anni hanno egregiamente operato per l’inclusione lavorativa (ad esempio a favore delle persone disabili). Altrimenti il richio è che si crei una sorta di conflitto di classe tra imprenditori. Tra quelli che, giustamente, si meritano task force e incentivi e quelli che, ingiustamente, sono lasciati allo sbando.


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