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Servono parole nuove

di Giulio Sensi

5 pagine. 14392, titolo e firmatari compresi. È il totale delle battute del Manifesto “Cresce il welfare cresce l’Italia”. Un testo molto documentato e interessante. L’avranno avuto in mano tutti coloro che oggi sono scesi in piazza a Roma? Sicuramente hanno fatto un ottimo lavoro, anche originale come dimostrano i cinque flash mob che hanno animato Roma e i vari presidi in tutta Italia. E coraggioso, visti i tempi. Cinquanta grandi sigle in piazza è un fatto importante. È la notizia del giorno, ed è un vero peccato che siano per ora solo 39 le notizie che google news indicizza sotto la parola chiave della manifestazione.

Non è una novità: le notizie “del sociale” spesso non bucano e rimangono con l’etichetta di “cenerentola” per la grancassa mediatica. Giustamente gli organizzatori hanno puntato sulla “Piattaforma comune” scaricabile dal web.

Il messaggio che ne è uscito è declinabile nei seguenti contenuti: “in piazza per difendere il welfare”, “contro i tagli al welfare”, “salvare le politiche sociali”. Anche se nel manifesto non c’è solo una difesa di quello che il welfare sociale italiano ha concesso negli ultimi decenni, ma anche qualche proposta più costruttiva.

Ma a vederle da fuori, queste mobilitazioni sanno troppo di “difesa” e poco di “attacco”, mentre nel curriculum di molte delle organizzazioni promotrici ci sono anche molte proposte, nuove pratiche, forme innovative di risposta alla crisi e anche ai tagli del welfare.

Non voglio fare l’ingenuo: le mobilitazioni di reti che si attivano sotto piattaforme comuni si fanno su compromessi su cui sono tutti d’accordo. Ci si siede intorno ad un tavolo e si limano i documenti in modo che rappresentino tutti. E spesso la forma e il contenuto ne risentono. È la democrazia, è la partecipazione ed è una fatica necessaria.

Ma quelle 14.392 battute -molto utili e interessanti- rimangono ostiche anche a chi quotidianamente si nutrono di questi temi. “Cresce il welfare, cresce l’Italia” è uno slogan fortunato, ma ad un occhio esterno stride con il messaggio che si sta canalizzando. Un messaggio incentrato su una difesa strenua dello status quo, più che su una nuova concezione del welfare che non neghi i diritti, rivendichi le risorse, ma con coraggio e fantasia faccia un passo concretamente in avanti.

Eppure anche sul manifesto ci sono idee nuove. Il mio è un giudizio a caldo e forse superficiale. La battaglia per la difesa e il rinnovamento del welfare deve diventare di tutti perchè parliamo di ambiti che riguardano la vita di tutti, non solo degli addetti ai lavori e degli enti locali.

Parliamo di diritti e di bisogni che da un giorno all’altro possono diventare urgenti per chi prima non lo avrebbe mai immaginato. Lo sforzo di mobilitazione in corso è prezioso, deve essere valorizzato. E per farlo la società civile deve trovare parole nuove, pronunciarle chiaramente, ed elaborare messaggi che siano comprensibili a tutti e tocchino la pancia delle persone, senza solleticarla troppo. Ma facendo sentire la “gente” coinvolta in un percorso di “civilizzazione” oggi più che mai necessario. Serve un nuovo alfabeto del sociale che abbia più appeal, servono nuovi strumenti e nuovi messaggi, serve più fantasia.

È un percorso tutto da disegnare, un volo che vale la pena di spiccare. Altrimenti quelle 14.392 battute rimarranno un bel documento negli annali di una storia dimenticata in fretta.


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