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Solidarietà & Volontariato

“Lottare contro le diseguaglianze”. L’ultima intervista a Giovanni Nervo

di Giulio Sensi

La questione sociale su cui il volontariato deve lavorare maggiormente e dispiegare il suo ‘presidio democratico’ è la lotta alle disuguaglianze“. Così aveva risposto nel novembre scorso Mons. Giovanni Nervo ad una delle domande dell’intervista che gli avevamo richiesto per ricordare Maria Eletta Martini e fare il punto sulle sfide attuali del volontariato. L’intervista, pubblicata sulla rivista Volontariato Oggi, è l’ultima rilasciata da Mons. Nervo. Cordiale e attento, fermo nel non voler essere raggiunto da una telecamera, ma solo dalla parola, Nervo non si era sottratto a questa fatica, dimostrando ancora un’enorme lucidità. Si era prima rifiutato di rispondere alla raffica di domande che gli avevamo mandato -“questioni troppo ampie per poterle commentare” ed aveva poi mandato le sue risposte, scusandosi per la brevità, ma inserendo “l’essenziale“.

Ecco il testo dell’intervista pubblicata su Volontariato Oggi.

Monsignor Nervo, qual è il suo ricordo personale del ruolo avuto da Maria Eletta Martini nella stagione più importante del volontariato? Maria Eletta Martini è stata giustamente chiamata «la madre del volontariato», perché l’ha fortemente promosso e sostenuto sia attraverso le Misericordie della Toscana, sia con il Centro Nazionale per il volontariato di Lucca, sia collaborando attivamente per dar vita alla legge quadro sul volontariato, la numero 266 del 1991.

In che modo a suo parere oggi sarebbe utile lavorare sul pensiero e l’eredità storica di Maria Eletta e di tutti coloro che hanno fatto la storia del volontariato italiano? Maria Eletta Martini citava spesso una frase che io dissi in un convegno nazionale promosso dal Centro Nazionale per il volontariato, di cui lei era presidente: «Stiamo attenti, perché di denaro il volontariato può anche morire». Lei era fortemente convinta che la gratuità è l’elemento fondamentale del volontariato. Credo sia questo un valore essenziale, da conservare e promuovere anche oggi.

Qual è il suo bilancio del volontariato italiano ad oltre 20 anni dall’approvazione della legge quadro? Il bilancio mi sembra nettamente positivo, perché il volontariato si è affermato sia sul piano culturale, sia sul piano operativo. Ha corso però e corre ancora un pericolo. Si tende a dare la qualifica di volontariato a tutte le espressioni di solidarietà sociale della comunità, come ad esempio le cooperative di solidarietà sociale e le associazioni di promozione sociale. Ciò rischia di far perdere al volontariato il suo valore essenziale, che è la gratuità.

Pensa che sia necessaria oggi una nuova «stagione costituente» per il volontariato italiano? Crede che oggi sia urgente rimettere mano alla legge 266 e in quali punti e come sarebbe da modificare e migliorare? Personalmente non ne vedo la necessità. Penso sia sufficiente applicare coerentemente la legge quadro sul volontariato, superando alcuni suoi limiti. Occorre, ad esempio, tener presente che la legge 266 del 1991 per sé non è una legge quadro sul volontariato, ma sui rapporti degli organismi di volontariato con  le istituzioni. Inoltre la legge non tiene conto del ruolo politico del volontariato e della sua funzione di advocacy.

Il volontariato è all’altezza di affrontare le crisi che il nostro tempo ci sottopone in maniera così acuta? Mi sembra ingiusto e non efficace caricare eccessive aspettative sul volontariato. Sarebbe, a mio avviso, un grave errore pensare di risolvere con il volontariato problemi che devono essere affrontati e risolti dalle istituzioni, che devono mettere a disposizione a questo scopo le necessarie risorse di persone e di mezzi. Il volontariato può anticipare risposte a bisogni emergenti, perché, essendo a contatto con la popolazione e non essendo limitato da vincoli burocratici, può giungere prima delle istituzioni nell’affrontare bisogni emergenti. Il volontariato può anche integrare i servizi esistenti e può esercitare una funzione di stimolo sulle istituzioni, ma non può mai sostituire le istituzioni nei loro compiti.

In che modo il volontariato italiano dovrebbe assumere un ruolo più «politico» e presente nella società? Soprattutto curando bene l’informazione, sia sui bisogni, sia sulle iniziative di risposte significative che vengono date. Ad esempio il rapporto della Caritas Italiana e dell’Ufficio Migrantes sullo sviluppo dell’immigrazione dà un contributo di stimolo culturale e politico. Tanto più che oggi gli strumenti moderni di comunicazione rendono più facile, più rapida e più estesa l’informazione.

In che modo oggi, secondo lei, è possibile preservare l’identità del volontariato e renderlo innovativo e attraente anche per i giovani? Partendo dai bisogni concreti e non dalle istituzioni. Da diverso tempo non ho più un rapporto diretto con i giovani, ma sono convinto che, di fronte a bisogni concreti e a proposte concrete di soluzioni, i giovani sappiano impegnarsi anche oggi: è anche il modo per preservare l’identità del volontariato, che è fatta di servizio e gratuità.

All’indomani della VI Conferenza del Volontariato dell’Aquila, qual è il suo giudizio rispetto al rapporto fra volontariato e politica? Non ho seguito la Conferenza del volontariato de L’Aquila; spero che in quel contesto il volontariato abbia saputo esercitare anche il suo ruolo politico, denunciando le troppo facili promesse, scarsamente mantenute.

Da tempo lei si appella al volontariato italiano perchè mantenga la sua identità. Quali sono i pilastri di questa identità e come li descriverebbe? Mantenere fede alle sue funzioni di anticipazione di risposta a bisogni emergenti, di integrazione (non sostituzione) dei servizi esistenti pubblici e privati, di controllo sociale e di stimolo alle istituzioni, il tutto con il valore della gratuità.

Quali sono le questioni sociali su cui a suo parere oggi il volontariato dovrebbe lavorare maggiormente e dispiegare il suo «presidio democratico»? La lotta alle disuguaglianze. L’economista Ermanno Gorrieri, che ha curato il primo rapporto sulla povertà in Italia, diceva che il problema più grave oggi in Italia non è la povertà, ma le disuguaglianze. L’altro problema è l’integrazione culturale e sociale degli immigrati: sono loro il nostro futuro.

Un messaggio che vorrebbe rivolgere ai giovani che oggi si avvicinano al mondo del volontariato. Darei ai giovani questo messaggio: se il volontariato è autentico -ho cercato di dire come dovrebbe essere per essere autentico- è più quello che si riceve che quello che si dà

 


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