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Madri in cella. Un’inchiesta di Cristina Scanu

di Marco Dotti

Scriveva Voltaire:  «Non fatemi vedere i vostri palazzi ma le vostre carceri, poiché è da esse che si misura il grado di civiltà di una nazione». Chi di noi ha visitato un carcere? Chi, seguendo il ragionamento di Voltaire, può dire di conoscere davvero il grado di civiltà del nostro, non di un generico o ipotetico Paese? Forse solo chi vi ha scontato una condanna di mesi o di anni . Ma allora, non gli si concede parola. Come non la si concederebbe a chi è “di parte”. Anche questo è un segno del degrado giuridico e etico in cui viviamo, soprattutto qui, dall’altra parte delle sbarre.

In Mamma è in prigione, appena edito da Jaca Book, Cristina Scanu ci guida in questo mondo parallelo, attraverso le lo specifico femminile, fatto di figure forti, ma anche tra le più fragili e esposte incontrate tra le mura dei penitenziari italiani. Un’indagine sociale e antropologica, non una semplice inchiesta. Comunicare a “chi sta fuori” è relativamente semplice. Suscitare uno sdegno temporaneo lo è ancora di più. Scavare dentro questo mondo altro, osservando i passaggi imprevisti e spesso imprevedibili tra il “dentro” e il “fuori” che tocca facendoci interrogare e perturbare è invece cosa ben più difficile.  Sono sessanta, oggi, i bambini “ospiti” degli istituti penitenziari. Al compimento del terzo anno, dovranno uscire, abbandonando le madri.

Anche il momento dell’uscita è difficile per tutti. Anche per le stesse madri. Fuori spesso si sconta quel supplemento di pena affettiva non quantificabile in numeri e statistiche. Riporto solo una testimonianza dal bel libro della Scanu: «Per chi sconta una pena la vergogna più grande è legata al pensiero di aver deluso i propri familiari e di averli costretti a subire le conseguenze dei propri errori. “Più si avvicinava il giorno della mia liberazione”, ricorda Sonia, “più vivevo con angoscia il pensiero di rientrare nel paesino dove vivevo, temendo gli sguardi e le chiacchiere della gente. Lo temevo per me, ma anche per la mia famiglia, immaginando di aver rovinato la reputazione dei miei genitori, di mio marito, e di avere come unica scelta quella di costringere tutti a trasferirsi in un’altra località dove ripartire da zero. Per Sonia la paura del “fuori” era più forte della gioia di tornare libera».

@CommunitasBooks


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