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L’Italia mangiata dal cemento. E dal fotovoltaico

Il consumo di suolo, in Italia, avanza ogni secondo di 2,4 metri quadrati. Responsabili le aree logistiche e gli impianti che sfruttano l'energia solare collocati a terra (anziché sugli edifici esistenti). In 12 mesi abbiamo consumato 77 chilometri quadrati, oltre il 10% in più rispetto al 2021. A certificarlo è l’edizione 2023 del report: “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemi” curata dal Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente. VITA ne ha parlato con Laura Fregolent presidente dell'Istituto nazionale di urbanistica veneto e docente dell’Università Iuav di Venezia.

di Rossana Certini

Le nostre città diventano sempre più calde e nelle aree più sature, all’aumentare della densità delle coperture artificiali, le temperature raggiungono valori compresi tra 43 e 46 °C nei giorni più caldi. Sono questi alcuni dati pubblicati nel report: “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemi” curato dal Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente, Snpa, e presentato lo scorso 25 ottobre. In media, la differenza di temperatura del suolo nelle aree urbane di pianura rispetto al resto del territorio è di 4°C d’estate con massime di 6°C a Firenze e di oltre 8°C a Milano.

Dallo studio emerge come il consumo di suolo incide, anche, sull’esposizione della popolazione al rischio idrogeologico. Infatti, in un solo anno, abbiamo resto impermeabile, nelle aree a pericolosità idraulica media, oltre 900 ettari di territorio nazionale e ridotto costantemente la disponibilità di aree agricole eliminando in dodici mesi altri 4.500 ettari, il 63% del consumo di suolo nazionale.

Esiste una correlazione tra i disastri idrogeologici che stiamo vivendo e il consumo di suolo? VITA lo ha chiesto all’architetto Laura Fregolent presidente dell’Istituto nazionale di urbanistica veneto e docente dell’Università Iuav di Venezia.

Professoressa Fregolent davanti a questi numeri, nei giorni in cui il maltempo sta mettendo nuovamente in ginocchio molte regioni del Centro-Nord, è peregrino chiedersi se le inondazioni a cui stiamo assistendo possono essere imputate, anche, al consumo di suolo oltre che ai cambiamenti climatici?

«Non è mai facile creare una correlazione diretta tra disastri idrogeologici e consumo di suolo, ma non possiamo negare che il nostro territorio è profondamente impermeabilizzato a causa dell’urbanizzazione e questo ha degli effetti sulla percolazione e lo smaltimento di questa enorme quantità di acqua che caratterizza le ultime perturbazioni. Inoltre che disastri idrogeologici e consumo di suolo possano essere correlati lo dimostra il fatto che le regioni stanno normando sul tema. Forse, però, lo stanno facendo in modo non abbastanza incisivo visti i dati che emergono dal report Snpa. In Veneto, per esempio, la legge regionale numero 14 del 2017 sul contenimento di suolo, nei fatti, non pone limiti ai comuni ma chiede loro di comunicare quanto ancora possono edificare per raggiungere l’obiettivo europeo di azzerare il consumo di suolo entro il 2050. Lasciando, così, ancora molti margini alla possibilità di edificare su suolo libero».

Quali sono le urbanizzazioni che consumano maggiormente il suolo?

«Questo è un aspetto interessante. Perché fino a qualche anno fa lo stesso report Snpa imputava il consumo di suolo a insediamenti produttivi, urbani e a infrastrutture. L’edizione 2023 fa emergere, invece, come è cambiato il nostro costruire. Oggi sono gli impianti logistici e le aree fotovoltaiche a sottrarre terreno agli ecosistemi. Tutto questo dovrebbe farci riflettere, perché di certo abbiamo bisogno di produrre energie rinnovabili ma il fotovoltaico a terra è un problema per il nostro ambiente. Va inoltre osservato un altro cambiamento del nostro modo di vivere perché gli impianti di logistica di cui parla il report sono al servizio della e-commerce dunque spazio sottratto alla logistica che è al servizio della produzione».

Ma allora, nel futuro, quale modello di urbanizzazione ci aspetta?

«Sicuramente una città in cui l’uso dell’auto privata è contenuto. Dove ci siano molte più aree pedonalizzate e il trasporto pubblico sia efficiente. Dunque una città attenta alla dimensione ambientale e sociale della vita».

L’Europa ci chiede di arrivare al 2050 al consumo di suolo pari a zero. È fattibile?

«Credo sia un obiettivo molto complesso da raggiungere. Bisognerebbe puntare veramente sulla riqualificazione degli spazi già utilizzati. Dovremmo trasformare il trasformabile, riusare. Invece, al momento, è più semplice ed economicamente vantaggioso intervenire sul suolo libero piuttosto che su quello già edificato. Quella del riuso è la sfida che ci attende. Serve però l’impegno del pubblico oltre che del privato. Bisognerebbe trovare dei meccanismi fiscali e delle forme di incentivi che facilitino questo processo di riuso del patrimonio edilizio esistente».


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