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Solidarietà & Volontariato

20mila sfollati senza futuro

Sono coloro che non potranno mai tornare nelle loro case, perché abitavano nelle regioni secessioniste. Ora temono di dover lasciare anche le scuole, rifugi di fortuna...

di Maurizio Pagliassotti

Un Paese che vive in stato di guerra, di fatto occupato militarmente da una super potenza, che non controlla più un terzo del suo territorio. Un sistema mafioso ben radicato che alimenta traffici di ogni genere. Predoni liberi di girare per villaggi abitati solo più da vecchi. Un corpo religioso diffidente ed aggressivo che non esita a dichiarare da che parte sta Dio in persona e si piazza sul campo di battaglia. Questa purtroppo è la Georgia di oggi. Una nazione con montagne molto belle che ha avuto la malaugurata sorte di entrare in guerra con la Russia. Un Paese che assomiglia tanto ad un campo di battaglia che ospita conflitti per interessi altrui.
Qui nei prossimi mesi si dovranno assistere almeno 20mila profughi stanziali. La stragrande maggioranza dei 150mila iniziali sono tornati a casa. I 20mila invece sono persone sul cui telefonino appaiono messaggi come: «Ti abbiamo appena abbattuto con un bulldozer la casa, bastardo georgiano. Non tornare mai più». Sono gli sfollati delle due regioni ribelli, Abhkazia e Sud Ossetia. Ma come fronteggiare questa situazione? Inizialmente il governo del colorito presidente georgiano Saakashvili ha dato ordine di aprire scuole ed asili per dare un tetto ai profughi.
Entrando in ogni scuola si notano subito mucchi enormi di vestiti: sono tutti regalati dalle persone che vivono nei paraggi. Roba lisa e vecchia ma che con l’arrivo dell’inverno potrebbe divenire utile. Per quanto riguarda l’igiene personale la Caritas si occupa di distribuire del materiale arrivato soprattutto dalla Polonia.
Quando vengono distribuiti questi prodotti si assiste a scene molto amare: donne (sempre loro, sempre in prima fila, sempre a lavorare) che litigano furiosamente per un pacco di latte in polvere, un assorbente, uno shampo. Eroiche in questo caso sono le volontarie della Caritas che con santissima pazienza discutono, convincono, responsabilizzano, compilano cento fogli per la burocrazia…
Il deposito Caritas di Tiblisi, che dovrebbe fungere da centro di smistamento, è praticamente vuoto. I georgiani ironizzano che gli aiuti in arrivo per il loro Paese si devono cercare a Mosca. Poi esistono le pagliacciate mediatiche: un cacciatorpediniere Usa ha attraccato nel porto di Poti ed ha scaricato centinaia di pacchi di acqua minerale. Senza senso.
Ma la notizia che ha acuito le tensioni è quella che dalle scuole si sarebbe passati alle tende da campo. Le scuole devono riaprire per le lezioni. La preside di un istituto mi dice: «Non è possibile la convivenza, la Georgia è povera, qualcuno dovrà soffrire ancora di più». Forse per questa ragione la Croce Rossa italiana si sta rafforzando sul campo poiché a breve dovrà allestire delle cucine da campo in alcuni villaggi.
Il presidente georgiano Saakashvili ha chiesto al mondo due miliardi di dollari per la ricostruzione del Paese. Se mai arriveranno, la loro gestione sarà un bel problema. La Georgia è un Paese dove la corruzione dilaga e in cui la reputazione delle ong locali è quanto di più debole possa esistere al mondo. Ma questa è un’altra storia…


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