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30 ore per la mia vita

Show woman Lorella Cuccarini e la sua scommessa per un “varietà utile”

di Federico Cella

Se descrivessimo Lorella Cuccarini come bella, brava e simpatica saremmo sicuramente nel giusto. Ma le faremmo il torto di non considerare gli aspetti, magari meno evidenti, ma forse più importanti della sua persona: essere una donna intelligente e generosa, che usa la propria popolarità per aiutare chi ha bisogno. Perché Lorella non è solo la brillante conduttrice della trasmissione ?Trenta ore per la vita?, ma ne è una delle ideatrici e tra le prime promotrici in assoluto. Come spiega con quel suo modo di fare, sempre incredibilmente felice. «Siamo arrivati alla quarta edizione, e anche quest?anno siamo riusciti a dare tanto; e tanto, come sempre, sento di aver ricevuto io da questa esperienza. Sono entusiasta: la gente ci dà sempre più fiducia e noi andremo avanti, perché la voglia c?è e le idee sono tante». Sono ormai cinque anni che Lorella e suo marito, Silvio Testi, insieme a un gruppo di amici, hanno fondato l?Associazione italiana ?Mille ore per la vita?, la base organizzativa che sta dietro alla più famosa trasmissione. «Non tutti siamo personaggi dello spettacolo, però ognuno, a modo suo, ha a che vedere con la comunicazione; è stato proprio questo il senso della nostra riunione: il voler mettere a disposizione i nostri agganci e le nostre conoscenze per cause che fossero più nobili del nostro semplice lavoro». Perché in televisione passa di tutto, spiega Lorella, e passa così velocemente che spesso non ce ne accorgiamo neanche. «Non c?è nulla di più leggero della nostra professione, possiamo regalare un?ora di intrattenimento, ma fondamentalmente siamo inutili. Con ?Trenta ore per la vita? mi sono finalmente resa conto che anche il mio mestiere può essere messo al servizio degli altri». Ma di iniziative di ?solidarietà? se ne fanno molte: alcune sono vere, alcune non molto, altre per niente. «Spesso molti miei colleghi sono stati ?fregati?, hanno cioè partecipato a qualcosa di illecito loro malgrado. È un classico per noi personaggi dello spettacolo presenziare a diverse iniziative, cioè prestare la nostra faccia per delle raccolte fondi. Ma poi? Te ne vai quando finisce lo spettacolo, lo show e non ti rimane neanche la sensazione di aver fatto qualcosa; non sai che fine hanno fatto i soldi, se il progetto per cui sono stati raccolti è stato compiuto oppure no». Allora, per giocare, ci vogliono delle regole precise. «E siccome le leggi sulla ?solidarietà? stentano ad arrivare, con ?Trenta ore per la vita? ci siamo voluti dare un nostro codice etico. Abbiamo deciso quali sarebbero state le associazioni destinatarie dei fondi raccolti, e siccome eravamo ?giovani? ci siamo inizialmente appoggiati a quelle nazionali di più sicura esperienza. Il secondo passo è stato quello di decidere, prima di ogni trasmissione, quali sarebbero stati i reali obiettivi della raccolta: in questo modo potevamo mostrarli al pubblico, perché volevamo essere il più concreti possibile». Perché con la solidarietà si corre sempre sul filo del rasoio: buone intenzioni che possono essere distorte. «Quando abbiamo iniziato era anche il periodo di ?Mani pulite? e quindi era fondamentale dare alla gente una doverosa trasparenza. Per questo nel corso dell?anno una nostra troupe cerca di dar conto di come i progetti finanziati stanno realizzando gli obiettivi promessi». Con l?arrivo dei figli aumenta la sensibilità, conferma Lorella, ma la sua voglia di aiutare gli altri nasce molto prima. «Quando lavoravo con Marco Columbro. Avevo già partecipato a delle iniziative ma, come ho detto, non mi era rimasto niente. Con Marco, invece, avevamo fatto delle serate per raccogliere fondi per un ospedale di Pisa; i soldi sarebbero serviti a costruire una nuova ala del reparto di oncologia per bambini, dove sarebbero stati ricoverati anche alcuni ragazzini di Chernobil. E questa volta ho potuto seguire la realizzazione del progetto: tutti gli anni torno e vedo i bambini in quel reparto. Alcuni guariscono, altri purtroppo no; ma così ho capito che quello che per me era poco poteva voler dire molto per altri». Lorella descrive il lavoro a ?Trenta ore per la vita? come una specie di malattia contagiosa. «Ci prende tutti e ci lega l?un l?altro. A maggio ho finito con ?Grease? a teatro e subito mi sono buttata sulla trasmissione: due mesi per organizzare tutto alla perfezione, impegnata in prima persona a preparare cartellette e inviti. Noi lo viviamo ogni volta come se fosse un faticosissimo parto. Ma quando abbiamo finito, vorremmo subito ricominciare». La comoda vita del ?jet set? non è uno specchio credibile della realtà. E Lorella questo l?ha ben presente: «Ora che vivo in mezzo all?agio non posso chiudere gli occhi su quella che è stata la mia infanzia. Niente di drammatico, per carità, però non sono certo nata in una famiglia ricca: i miei erano separati e dovevamo vivere solo con i soldi che portava a casa mia mamma. Quando cresci in queste condizioni sicuramente sei più formato di altri verso i problemi del mondo. Anche se non sembrano più problemi tuoi». Qualcuno ha ancora dei dubbi sul perché Lorella sia la più amata dagli italiani? ?


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