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35mila cittadini di troppo

È il numero di quanti ogni anno finiscono in rianimazione per un incidente. Una volta dimessi, lo Stato li abbandona. Una mamma ha creato un Telefono Bianco con cui ha aiutato mille famiglie.

di Antonietta Nembri

Il rumore del traffico non arriva nel giardino di casa Valentini, a Correzzana, nel cuore della Brianza. La voce di Marisa Borlini Valentini è dura, decisa, toglie l?illusione di pace. «A fine anno chiudo l?associazione!», tuona questa donna di 53 anni che lotta da otto. «Sono stanca, non so più cosa raccontare alla gente. Mi arrendo». Lo spirito di lottatrice di Marisa si ribella. Ma la situazione contro cui lotta il suo Telefono Bianco (039/6980013), al quale si rivolgono i parenti delle persone in coma, le appare irrisolvibile. «Mi arrendo. Ho bussato a ogni porta: sono stata derisa, compatita e, peggio, tollerata». La storia del Telefono Bianco inizia il 2 febbraio 1989. «Mi arrivò la telefonata di rito: ?Venga, suo figlio ha avuto un incidente?», racconta. «Il mio Luca aveva 24 anni ed è andato in coma per 5 mesi. Per lui nessuno avrebbe dato cinque lire, ma io mi sono imposta di sapere tutto. Poi Luca ha ripreso i sensi, e in famiglia ci siamo guardati in faccia: ?Dove lo mettiamo??. Posti per riabilitare gente nelle sue condizioni non ce n?erano. O erano saturi». Alla fine Luca va in Austria per tre mesi. Oggi , dopo 19 operazioni, si è ripreso al 95%. Si muove su una sedia a rotelle, ma conduce una vita ?normale?. E non si perde una partita del Milan. E il Telefono bianco? Marisa voleva che la sua vicenda servisse a qualcosa. All?inizio degli anni Novanta partecipa al Maurizio Costanzo Show: «Costanzo mi ha detto: ?Ma perché non se lo fa lei un telefono utenze??. Ho recuperato un fax, una segreteria telefonica e mi sono resa disponibile». Così il Telefono Bianco comincia a rispondere ai familiari dando informazioni sull?attività delle Usl, degli enti pubblici e privati, sul supporto psicologico, su dove ricercare i posti letto per la riabilitazione. All?orecchio di Marisa arrivano oltre mille casi. «Quando telefonano sono disperati, non hanno più soldi, hanno il figlio o il padre o un fratello a casa. Non ci sono strutture per riabilitare i politraumatizzati, una volta dimessi. Per di più nessuno sa niente e ti guardano come se tu fossi deficiente, ti prendono pure per una neurologicamente ?fuori di melone?. Allora ti devi imporre, devi bussare a tutte le porte. Io sono stata fortunata, l?Usl di Vimercate mi ha aiutata. Ma se succede a una mamma di Palermo o di Bologna? È difficile avere spiegazioni esaurienti come quelle che ho avuto io per Luca al San Raffaele di Milano. Ecco, serve che ci spieghino. Che poi lo faccia il primario o il portinaio non importa. Di telefoni come il mio ce ne dovrebbe essere uno in ogni Usl». Per otto anni, Marisa ha constatato come il vero problema non è l?essere ricoverati in coma, ma il fatto di uscirne. «È allucinante che non si sappia dove andare. È come se lo Stato dicesse che è meglio che questi ragazzi muoiano. Prima, nei reparti di rianimazione, si lotta per salvarli. Poi li si abbandona. E parliamo di persone, non di pacchi postali. L?amministrazione ti dice ?si cerchi un posto? come se il parente di un post comatoso debba improvvisamente diventare un super esperto di cliniche per la riabilitazione». Il recupero è la parte più difficile. Occorrono molti specialisti: neurologo, fisiatra, ortopedico. I pochi posti non bastano ad accogliere tutti. «Come fanno a rispondere: ?Signora, fra tre mesi?? Questi ragazzi muoiono! Allora ditelo chiaramente: ?Non c?è posto, quindi devono morire?. Quando in tv sento: ?Incidente del sabato sera: cinque morti e tre feriti?, io non piango i morti, ma iferiti gravi e le persone che dovranno occuparsi di loro perché non troveranno niente». E dalla fine dell?anno non ci sarà più neanche il Telefono Bianco. «A chi mi telefonerà darò i numeri dei politici, degli assessori, degli amministratori che mi hanno detto: venite da me. Non ne tolgo neanche uno, dalla Lega fino a Rifondazione. Perché non gliene frega niente a nessuno dell?handicap, dei bambini, degli anziani. Mi spiace per tutti quelli che mi hanno chiesto aiuto. Ma dal 31 dicembre risponderà qualcun altro. Mi occuperò di mio figlio e di mia mamma che ha 90 anni. Perché sono andata, come Don Chisciotte, contro un mulino a vento talmente grande che la gente ha imparato a non vederlo più». L?opinione Mancano i posti letto Il vero problema sono gli scarsissimi posti letto. Chi è appena uscito dal coma ha problemi motori, neuropsicologici, di linguaggio. Due mesi di ricovero non, bastano, per questi pazienti servono cinque o sei mesi di ricovero, è ovvio che i posti letto non bastano. Noi del Santa Lucia di Roma siamo uno dei centri con più letti, venti, con i quali dobbiamo coprire tutto il centro sud, assieme al San Giovanni Battista,. Eppure non riusciamo a coprire neanche le rianimazioni e le neurochirurgie della sola capitale. Siamo bombardati tutti i giorni dalle telefonate dei parenti. Solo che io non posso dire loro quando si libera un posto letto perché non lo so. Ci sono pazienti che hanno bisogno di quattro mesi di ricovero: non potendoli affidare a strutture di riabilitazione al sud, sono spesso costretta a prolungarne la permanenza perché altrimenti si rischia di perdere tutti i progressi fatti. E poi c?è il problema del taglio dei posti letto. I tagli alla sanità colpiscono anche la riabilitazione standard: ti dicono che dopo due mesi bisogna dimettere il paziente, anche grave, perché da allora la Regione non copre più il costo al 100%. Così tutti cerchiamo di stare nei due mesi. Purtroppo non viene potenziata l?assistenza domiciliare e i pazienti che dimettiamo non possono seguire un programma di riabilitazione a casa. Il che sarebbe più economico per il Servizio sanitario nazionale e faciliterebbe il reinserimento familiare. Le strutture di lungodegenza, le famose residenze sanitarie assistenziali, restano sulla carta. E il problema non si risolverà senza un censimento serio dei casi di questo tipo in Italia.

di Rita Formisano primario di rianimazione all?Istituto Santa Lucia di Roma


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