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Cooperazione & Relazioni internazionali

A Barcellona falliscono persino le televisioni

Schermi in nero per due giorni. In Spagna la crisi sta travolgendo la Catalogna, regione locomotiva economica del Paese

di Emanuela Borzacchiello

L’ultima settimana di luglio termina con due regioni tra Italia e Spagna, tanto lontane prima, tanto vicine ora sulla scia del default economico. A sud del mediterraneo la Sicilia da sempre indicata come regione in crisi, a nord la Catalogna, con al centro Barcellona, considerata il motore dell’impresa in tempi moderni. E se la prima sembra ancora avere una possibilità di scelta, la seconda non ce la fa più da sola e chiede aiuti allo stato spagnolo.

Per capire la macroeconomia si inizia dalle singole storie. Dalle imprese grandi e piccole, dalla gestione che ne segna lo sviluppo. Oggi vi raccontiamo perchè una delle imprese più rappresentative della forza economica catalana si “oscura” per due giorni.

Immaginate di accendere la tv e non riuscire a fare zapping. Pigiare il telecomando ma continuare a vedere lo schermo nero. È questo che succederà in Catalunya il venerdì 27 e sabato 28 luglio sulle frequenze di RTVV Radio Televisión Valenciana. Una delle più importanti di Spagna. 48 ore consecutive di sciopero, tutti i programmi oscurati, nessuna possibilità di revoca. A una decisione forte corrisponde una situazione ai limiti del paradosso. In ballo 1.295 posti di lavoro della RTVV su 1.695.

Il segretario del comitato organizzativo, José Manuel Alcañiz, spiega perchè è stata scelta la durata di ben 48 ore «in televisione ci sono molti automatismi che durano 24 ore e che permettono che non si noti l’assenza di personale, però con 48 ore di sciopero i “vuoti” non potranno essere riempiti”. Si prevede che lo sciopero sia appoggiato dalla stragrande maggioranza delle persone lavoratori. Previsione su cui scommeterebbe qualsiasi bookmaker visto che i tagli stabiliscono che in una Tv dove prima c’erano 1695 lavoratori, dopo ce ne saranno 400.

Una fitta ragnatela
Ma forse la ragnatela attrae molti più elementi di quelli che una crisi dei mercati possa spiegare. Vincent Mifsud, presidente del comitato di impresa, ha detto «noi crediamo che questa misura serva solo ad andare in una direzione di privatizzazione della televisione. Il disegno di legge in Parlamento è stato già il primo passo e ora vogliono passare alla seconda fase».
Questa è la prima azienda in cui applicheranno in maniera massiva l’Ere (Expediente de Regulacion de Empleo)? «Non è affatto impensabile che l’azienda applichi l’Ere» ci conferma il deputato socialista Josep Moreno. Ciò che si teme, infatti, è che l’ERE, processo che secondo la legge spagnola permette a una impresa in crisi di ottenere l’autorizzazione per licenziare i suoi lavoratori, sia solo un modo per arrivare alla privatizzazione del gruppo.

Fatti sull’orlo di una crisi informativa…. ma non solo
Il caso della Tv catalana è esemplare di molte altre imprese pubbliche e non. Ma per capirlo dobbiamo andare oltre il titolo e fare lo sforzo di scrutare negli archivi.
Nel 1995 il Partido Popular vince le elzioni della comunità autonoma catalana, una delle più ricche di Spagna, la nostra Lombardia per intenderci. Acquisisce il controllo della Tv e per compiacere l’elettorato e ricambiare vecchi favori triplica il numero delle assunzioni, moltiplicando per 40 il suo debito. Spesa fuori controllo, gestione dissennata delle risorse e un debito che supera i 1.200 milioni: questa è la miscela esplosiva che ha fatto saltare il 75% dei posti di lavoro. Cosa succederà ai 400 che rimarranno? Tipologie contrattuali cambiate seguendo il piano di un nuovo statuto.
Intanto le dichiarazioni del PP fanno capire che non bisogna aspettare la fine della partita per evincerne il risultato: “l’ERE è necessario”, dicono, “è necessario adeguarsi a tempi nuovi”.


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