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A che gioco giochiamo noi, figli di Facebook?

Luca De Biase commenta l'ultimo libro di Peppino Ortoleva, “Dal sesso al gioco. Un’ossessione per il XXI secolo”: «Facebook è piena di giochi, ma ovunque su Facebook ci si deve comportare giochicchiando in modo leggero, estremista, facendo i fan, perché quasi tutto sta dentro le regole del cazzeggio ma le supera e le confonde»

di Luca De Biase

Nel suo ultimo libro Peppino Ortoleva ci spiega che se l’Ottocento è stato il secolo che ha definito l’amore passionale come centro della vita, se il novecento si è appoggiato al sesso come pilastro culturale sulla base del riferimento teorico freudiano, nel XXI secolo è il gioco a rivestire il ruolo fondamentale. Sessopassione, sesso e gioco sono tutte forme di compensazione del gelo dell’homo oeconomicus: compensano la penetrazione nella società del capitalismo. Dagli anni Ottanta, in effetti, la sessualità prima nascosta e poi “liberata”, arriva a una specie di sazietà, che finisce per richiedere un “di più” di motivazioni. Che in parte è ludicità. Un momento che dimostra questo passaggio potrebbe essere riconosciuto nei siti di dating. nei quali, in parte, si sviluppano relazioni che assomigliano a giochi di ruolo. Il gioco è un adattamento a un ambiente che non c’è.

Il gioco come lo abbiamo conosciuto è prima di tutto l’attività attraverso la quale il bambino scopre il mondo. Ma la ludicità è una componente essenziale della vita mentale. È un’attività di scoperta e di invenzione del mondo. Si esplora inventando e si inventa esplorando. Apparentemente, crescendo il bambino rinuncia alla libertà del gioco, mentre nella mente il gioco si separa dal resto dichiarandosi inutile. Eppure resta irrinunciabile: perché nella sua inutilità, resta un fattore indispensabile. È indispensabile perché inutile: è essenziale come componente evolutiva della specie umana, perché l’istinto umano è insufficiente, perché l’umana è una specie incompiuta (come dice nietzsche). La forza del gioco non è quella dello strumento che si usa: il gioco è una risorsa perché quello che abbiamo imparato dal gioco “emerge” nel vivere. non possiamo mai lasciar cadere la mano del bambino che siamo stati. Il gioco dei bambini è la base di qualunque teoria del gioco.

Ortoleva centra il suo discorso non tanto sul gioco quanto sulla ludicità. La componente ludica ha dei limiti: da una parte il “cazzeggio”, dall’altra parte il bambino che gioca senza regole. Ci sono gioci con regole manifeste e immaginario nascosto, gli scacchi, e giochi con immaginario manifesto e regole nascoste, come la bambola. Con una proiezione multipla sul nuovo secolo: gamification, paradosso, libertà regolata, rilegittimazione delle regole. E le aziende diventano “squadre” che concorrono a una competizione durissima, nella quale le regole sono chiare e accettate. Si è sempre detto che il gioco non è gioco se non è separato dalla vita. Il gioco è caratterizzato da una cornice che lo distingue dal mondo serio. E poi ci sono giochi adulti e giochi infantili.

Ma tutte queste separazioni stanno cadendo. Le vertigini delle giostre estreme. Il mascheramento con le macchine, il surf, e così via. Così l’homo ludens si è trasfomato in homo ludicus. L’homo ludicus vive in una vasta area grigia nella quale un po’ si gioca e un po’ si fa sul serio. La rete diventa sempre più un luogo di questo tipo. Facebook è piena di giochi, ma ovunque su Facebook ci si deve comportare giochicchiando in modo leggero, estremista, facendo i fan, perché quasi tutto sta dentro le regole del cazzeggio ma le supera e le confonde. Si arriva così a una progressiva sovrapposizione di work and play. L’estensione di tutto questo è gigantesca. La gamification rende il lavoro più gradevole e accettabile, ma presenta anche un aspetto manipolatorio.

Sul lavoro e nel consumo. Il supermercato è una macchina per far comprare cose alle quali non si era pensato. Angry Birds spinge a comprare il prossimo livello. La macchina è una fabbrica di regole: con la sua metafora e con la sua attrattiva. I parchi a tema sono un’invenzione straordinaria per unire turismo, cinema, gioco e così via. Ma forse la ricerca non è quella di una teoria del gioco che ci manca. Ma una ricerca di senso. Un qualcosa che assomiglia quindi a storia e antropologia. Ma che cosa descrive? Guarda da vicino i bambini, i giocattoli, l’apprendimento e dunque va verso l’etnografia, la mediologia, la storia. E naturalmente Ortoleva aggiunge, verso una filosofia.


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