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A Zanzibar, Invictus è girato al femminile

Una squadra di calcio diventa film

di Chiara Caprio

Le “soccer queens” sono un fenomeno non solo sportivo. Per molte donne il pallone è diventato uno strumento di riscatto. Per questo dal campo sono arrivate anche sul set «Quando abbiamo iniziato questo progetto, gli uomini ci picchiavano con il pallone da calcio, ci urlavano che non eravamo donne e che non avremmo mai avuto un marito. Abusavano di noi». È con queste parole che Nassra Mohammed spiega il nome scelto per la sua creatura, la prima squadra di calcio femminile sull’isola di Zanzibar, regione semiautonoma della Repubblica della Tanzania: Women Fighters FC.
Era il 1988. Tyresö FC, una squadra di calcio femminile svedese stava girando l’Africa per promuovere lo sport tra le donne africane, e Nassra rimase folgorata. Da giocatrice di badminton e appassionata di attività sportive, decise di passare dal calcio di strada al Mao Tse Tung stadium, culla del calcio femminile sull’isola.
Ma oggi per le lottatrici di Zanzibar non si tratta solo di sport. «Il mio matrimonio era finito. Mio marito mi aveva lasciata improvvisamente, senza certezze, perché convinto che io fossi sterile. Stavo malissimo. Poi ho scoperto la squadra, e ho deciso di provare», racconta Zuwena, una donna atletica di 28 anni, portiere delle Women Fighters. «Il calcio mi ha aiutato a superare quell’esperienza drammatica, ha cambiato in meglio la mia vita». Sembra questa la strada per l’emancipazione, per il riscatto, ma soprattutto per lo sviluppo delle giovani donne. Florence Aiysi, documentarista camerunese residente in Gran Bretagna, ha conosciuto la squadra mentre girava un film sulle migrazioni e ha deciso di raccontare le loro storie in un film, Zanzibar Soccer Queens. «Posso confermare che questo progetto ha permesso a molte di loro di crescere, e anche i genitori si sono resi conto del potenziale della squadra. Possono viaggiare, fare nuove esperienze, conoscere persone e culture diverse, imparare»,
A settembre 2009 sono state invitate a partecipare ad un torneo in Germania, «Nassra era estasiata: dopo il torneo dieci ragazze nuove si sono iscritte alla squadra incoraggiate dai genitori!». Nassra grida al miracolo, perché non manca la consapevolezza delle difficoltà cui le donne vanno incontro. «Sull’isola c’è ancora un alto tasso di violenza domestica, senza contare che le donne, pur essendo forze attive dal punto di vista lavorativo, hanno spesso bisogno di intermediari e la loro formazione è spesso trascurata», spiega Elaine Hargrove, operatrice di Women Without Borders, ong che ha attivato un progetto di prevenzione delle violenze proprio a Zanzibar. «Conosciamo bene le Women Fighters, e sono uno splendido esempio di come le donne dell’isola vogliano sfidare tutte le barriere di genere per fare ciò che amano».
Tra le barriere c’è anche una minoranza musulmana molto legata alle tradizioni e critica verso le scelte della squadra. «Nel film ho intervistato Abdallah Mzee, insegnante della scuola coranica Mkamasini», spiega Aiysi, «che sostiene l’immoralità di magliette e pantaloncini, ma le ragazze non se ne curano, rispettano il Ramadan, periodo in cui non si allenano, senza contare che il 97% della popolazione dell’isola è musulmana e non ha questi pregiudizi».
Le guerriere hanno preso di petto anche il problema del lavoro. Nassra ha lanciato il Women Fighters’ Shop, un negozietto di prodotti di bellezza e igiene in grado di generare profitti e sostenere i bisogni della squadra. «Per il momento non ci sono soldi per ampliare ad un progetto educativo in senso stretto, ma alcune di loro hanno cominciato ad andare a scuola e a studiare l’inglese grazie ai fondi raccolti attraverso il film», spiega Aiysi. E i Mondiali in programma in Sud Africa stanno dando slancio alla promozione. «Farò conoscere la squadra attraverso il film, che nel 2010 sarà in Norvegia, a Vienna e a Berlino per un programma dedicato al calcio africano, mentre i canali francesi TV5 Monde e Canal Plus hanno comprato i diritti».


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