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allo sport sociale serve più fundraising e comunicazione

Centro sportivo italiano

di Daniela Verlicchi

Lo Stato e gli enti pubblici? «Potrebbero dare di più». Le grandi aziende? «Non sono interessate al tema educativo». Ne ha per tutti Massimo Achini, presidente del Csi – Centro sportivo italiano. Anche per la sua associazione: «Non siamo riusciti a sviluppare una strategia di marketing efficace in questi anni», spiega. «Siamo radicati sul territorio, abbiamo i “numeri”, quelli veri: 850mila iscritti, 13mila società affiliate. Ma non li abbiamo sfruttati». Questione di scelte, prosegue Achini: «In questi anni abbiamo pensato soprattutto all’aspetto educativo». Basta considerare che il Csi non ha nemmeno un ufficio fundraising a livello nazionale.
E allora con quali risorse si sostiene? La principale fonte di introiti è rappresentata dalle tessere di iscrizione alle società sportive che in tutto il territorio nazionale si associano al Csi. Ma solo una quota di questa voce arriva all’associazione nazionale: ogni società ha autonomia amministrativa e fissa il prezzo della tessera per i suoi iscritti. «Una parte consistente di esso, circa il 70%, va coprire i costi dell’attività sportiva», spiega Achini, «e un’altra grossa fetta va alla società sportiva che la organizza». Al Csi rimane il resto.
Il 10% delle entrate (26 milioni, a livello nazionale) deriva dal contributo del Coni: soldi pubblici, quindi, che vanno a sommarsi ai contributi degli enti locali che supportano le attività dei circoli sul territorio per un totale di 6,5 milioni di euro. Sempre troppo pochi, secondo il presidente Achini. «Sono percentuali drammatiche», dice, «significa che i soldi li tirano fuori ancora le famiglie, e questo è inaccettabile. L’azione educativa che proponiamo coinvolge 850mila persone: meriterebbe di più». Quel «di più», d’altra parte, non arriva nemmeno dal mondo delle imprese, «non molto attente al tema dell’educazione», denuncia Achini.
Eppure qualche importante alleanza il Csi è riuscito a stringerla con il profit, soprattutto nell’organizzazione di eventi. Si tratta di happening sportivi, spesso internazionali (come la Danone Cup o la Gazzetta Cup), interamente finanziati da multinazionali come Danone o Wolkswagen, che però non hanno nulla a che fare con le attività ordinarie dei circoli Csi. Il resto avviene a livello territoriale: le singole società instaurano relazioni, anche importanti e remunerative, con le realtà imprenditoriali locali. E il 5 per mille? Poche le firme nel 2006. «Siamo un ente di secondo livello», spiega Achini, «di solito, i nostri associati firmano per la società con la quale fanno sport». Educare attraverso lo sport: questo la mission del Csi. Una mission cui si affiancherà presto un potenziamento della raccolta fondi e della comunicazione.


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