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Anno dopo anno, sono sempre il più giovane

Insegnare un quarto di secolo al Parini di Milano

di Pasquale Coccia

Quando oltre un quarto di secolo fa varcai la soglia del liceo dove insegno, fresco di nomina per un concorso a cattedra vinto, ero l’insegnante più giovane della scuola, e i colleghi più anziani mi guardavano con simpatia, manifestando anche paterna comprensione per le mie sortite dettate dall’inesperienza didattica. Oggi, che da poco ho superato i cinquant’anni, nella mia scuola sono ancora l’insegnante più giovane. Non vi è stato ricambio generazionale tra i docenti, e stando alle statistiche del ministero dell’Istruzione l’età media degli insegnanti italiani è di 55 anni, la più alta d’Europa.
Il taglio generazionale tra noi e gli studenti è forte, mai nella scuola italiana si è verificata una distanza così ampia come oggi. La differenza è ancora più ampia se si pensa alle scuole elementari, dove per età le maestre potrebbero essere delle nonne, ma prive di qualsivoglia autorità, innanzi a bambini di 6 o 7 anni, figli di una tecnologia avanzata e del mercato, irrispettosi di regole e figure, come quelle che un tempo tutti, alunni e genitori, chiamavamo “la signora Maestra”.
Con gli adolescenti la distanza generazionale è così ampia che tra noi sembrano intercorrere secoli. Chi come me, pur essendo il più giovane tra i professori della scuola, è nato poco oltre la metà del Novecento, non comprende affatto i codici del linguaggio delle nuove generazioni, e neppure il loro mondo. Perfino il professore di filosofia, che nelle sue classi liceali, spaziando da Anassimandro ad Aristotele fino a Kant, può affrontare i temi della vita e della morte, come quelli dell’origine del mondo e altre questioni esistenziali, dice di avere difficoltà a parlare e a farsi capire dagli studenti. Il professore di latino e greco sostiene da tempo che la scuola non è un centro sociale, lui è un “tecnico” e chi vuole studi, altrimenti gli studenti si arrangino pure, saranno bocciati.
Il risultato è che molti ragazzi non investono nell’esperienza della scuola, di questa scuola, e il ruolo sociale dell’adolescente resta separato nettamente da quello dello studente.
La differenza generazionale ci rende incapaci di cogliere negli studenti, che abbiamo davanti ogni giorno, l’intelligenza, la responsabilità e la passione che manifestano nelle attività fuori dalla scuola. La realtà scolastica, percepita come mediocrità quotidiana, incapace di trasmettere perfino i saperi minimi, è vissuta dai ragazzi come semplice routine. Non si tratta di cambiare dei pezzi all’interno dello studente che non va, quasi fosse un’operazione meccanica, come sostengono quei professori che si dichiarano “tecnici”, avvezzi a considerare gli studenti solo soggetti tra banco e cattedra, ma di porsi all’ascolto attento e partecipato di quelle relazioni all’interno delle quali si trova lo studente e, inevitabilmente, l’insegnante.
Se non ci sforziamo di ristabilire una giusta relazione tra la trasmissione del sapere e l’educazione, tra noi e loro, generazioni di studenti ci sfuggiranno di mano.


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