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Beuys: scacco matto al G8 dell’arte

La Biennale si apre con un omaggio a un grande artista, Joseph Beuys, il più amato e forse il più incompreso. Ecco chi era

di Giuseppe Frangi

Platea dell?umanità: con questo titolo forte e ambizioso la 49esima Biennale non poteva non ripartire dall?artista che più radicalmente ha rimesso in discussione il rapporto tra arte e vita. Questo artista si chiama Joseph Beuys, era nato nella Germania del nord nel 1921 ed era morto a Düsseldorf nel 1986. Una sua grande installazione composta da massi di basalto dalla forma allungata, dal titolo La fine del xx secolo, è stata messa al centro della Biennale che si apre dal 10 giugno a Venezia: cuore di un?edizione che, negli intenti del suo curatore, Harald Szeemann, vuole fare un affondo sulla grande questione del rapporto tra l?artista e il mondo che lo circonda. Beuys dunque è il nume tutelare, il santo protettore di questa Biennale. Fare il suo nome significa parlare d?arte, ma non solo. Beuys è stato definito il grande sciamano della cultura europea della seconda metà del ?900, l?uomo che con le sue scelte ha guidato l?assedio alla torre d?avorio in cui si erano chiusi tutti i suoi colleghi, compresi quelli che si erano mascherati da avanguardisti capaci di ogni provocazione. Beuys, insomma, è il primo radicale contestatore del G8 dell?arte. Non cerca un?invenzione formale innovativa rispetto a quelle precedenti, cerca uno statuto nuovo per ciò che è arte. Lo racconta lui stesso in alcune note autobiografiche, scritte all?indomani di una crisi attraversata all?inizio degli anni ?50: «Ho messo in discussione tutta la mia vita. Durante questa crisi ho deciso di ricercare con tutte le mie forze quanto c?è di più profondo nella vita, nell?arte, nella scienza. Del resto tutto il mio lavoro precedente portava a questo, ma doveva essere una teoria completamente diversa dell?arte, della scienza, della vita, della democrazia, dell?economia, del capitale, della libertà, della cultura…. Durante quei tre o quattro anni sono riuscito a fissare le linee di una teoria dell?arte più vasta, che coinvolgesse il corpo sociale nel suo insieme». Cosa significa questa intuizione di Beuys? «Realizzare il ruolo che l?artista può rivestire nell?indicare i traumi del tempo e nell?iniziare un processo di guarigione». Insomma l?artista come guaritore. Per capire quanto di sovversivo queste premesse comportino nel lavoro di Beuys, bisogna seguirne da vicino qualche spezzone delle sue messe in opera. O meglio azioni. Perché Beuys concepisce l?arte come un qualcosa che attraversa la vita e permane non nei musei ma nelle modificazioni che ha saputo generare nella vita stessa. Proviamo ad osservarlo in qualche presa diretta. La prima è un?azione del 1965 che fece conoscere Beuys in tutto il mondo. Avvenne in una galleria di Düsseldorf e l?artista la intitolò Come spiegare i quadri ad una lepre morta. Dall?esterno della galleria gli spettatori potevano vedere la registrazione filmata di quanto stava avvenendo dentro: l?artista con la testa coperta di miele e porporina d?oro girava nella stanza, dove erano state appese tante lavagne, spiegando il senso dell?arte a una lepre morta tenuta in braccio come un bambino. Ci sono tanti altri particolari, anche sonori, di quella performance, che andrebbero raccontati, ma conta di più ascoltare la spiegazione che ne diede lo stesso Beuys: «Per me la lepre è un simbolo dell?incarnazione. In realtà la lepre fa quello che l?uomo può fare solo mentalmente: scava dentro, scava una costruzione. S?incarna nella terra e questo è rilevante in sé. Usando il miele sulla testa sto naturalmente facendo qualcosa che riguarda il pensiero. La capacità umana non è quella di produrre miele, ma di pensare, di produrre idee. In questo modo il carattere necrotico del pensare diviene nuovamente vitale. Il pensiero umano può essere vivo. ma può anche esserne intellettualizzato sino a morirne. L?oro e il miele indicano una trasformazione della testa». Le foto di quell?azione fecero il giro del mondo, determinando una straordinaria popolarità di Beuys, soprattutto nel mondo giovanile alla vigilia della contestazione. Ma quell?azione mette in luce anche il leit motiv poetico dell?artista: il desiderio di ritrovare il senso del rapporto tra l?uomo e la natura. Desiderio che si fa esplicito nella più famosa e clamorosa azione di Beuys, realizzata a New York nel 1975. Il titolo questa volta è semplice: Coyote. L?azione comprende anche il viaggio che l?artista fece da Düsseldorf agli Usa, avvolto in un rotolo di feltro (elemento simbolo dell?arte di Beuys). Arrivato in galleria, l?artista si liberò dell?involucro e iniziò a convivere in uno spazio chiuso da una grata con un coyote selvaggio appena catturato e portato appositamente lì. Beuys non aveva altri elementi di difesa che il bastone che lo accompagnava sempre e il feltro. Ma principalmente usò le armi della persuasione sino al momento in cui, dopo qualche giorno, l?animale si distese accanto al suo compagno. L?azione non finì lì. Perché le fotografie arrivarono a un prigioniero, condannato all?ergastolo, in un carcere di Glasgow. L?uomo, Jimmy Boyle, aveva realizzato una scultura con la testa del coyote sormontata da quella di Beuys. L?artista saputolo, capì che il suo lavoro aveva prodotto un?appendice cercata ma imprevista. Si recò a Glasgow a ricevere il dono di quella scultura. L?arte si era trasformata davvero in un processo sociale.


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