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Chi sa mediare fa tornare la pace

Lo scopo è quello di evitare che situazioni di tensione ad alto rischio, esplodano in scontri dannosi per tutta la collettività.

di Lillina Moggio

Il Centro italiano per la promozione della mediazione (Cipm) è la prima realtà italiana che propone un’alternativa ai tradizionali tempi, modi e luoghi di gestione pacifica dei conflitti attraverso la pratica della mediazione. Lo scopo è quello di evitare che situazioni di tensione ad alto rischio, esplodano in scontri dannosi per tutta la collettività, già peraltro ampiamente intimidita dallo strisciante clima di insicurezza, sfiducia e anche intolleranza. Condizione che le stesse istituzioni non riescono a risolvere o quanto meno a contenere. Il Cipm, che ha una struttura federata e si coordina a livello nazionale attraverso sedi autonome presenti in diverse realtà , ha aperto una sede sociale a Milano, città dove è nato nel marzo del ’95, e inoltre una serie di altri riferimenti a Torino (con funzione di ufficio di segreteria), Bari, Forlì e Oristano. A fondare il Centro sono stati un gruppo di operatori sociali, magistrati, criminologi e sociologi del diritto, con l’intento di sensibilizzare e far conoscere nel nostro Paese la pratica e la formazione alla “mediazione”, un’impostazione cultural-sociale già presente peraltro fin dalla metà degli anni Settanta in Canada e negli Stati Uniti, e arrivata più tardi anche in Europa. Più propriamente, la forma di mediazione che il Cipm si è posto di diffondere sul nostro territorio, è la cosiddetta “mediazione sociale”, che sulla scia delle Boutiques de droit (Botteghe del diritto) sorte in alcuni quartieri periferici di Lione agli inizi degli anni Ottanta, propone ai cittadini strutture extragiudiziarie in cui risolvere i conflitti urbani generati dalla quotidianità. In pratica, attraverso la mediazione, i due soggetti protagonisti di un conflitto (a causa di: problemi all’interno della famiglia, incompatibilità caratteriali, un problema condominiale), vengono “aiutati” da una terza figura, il mediatore appunto, a rientrare in comunicazione e a ristabilire l’equilibrio relazionale interrotto. Il ruolo del mediatore, affermano i promotori del Centro, deve essere assolutamente neutrale e indipendente, senza alcun potere decisionale. Un vero canale comunicativo che intervenga laddove apparentemente non vi sia possibilità di soluzione, e che permetta l’espressione e il confronto delle emozioni. Per chi è interessato a intraprendere un’attività da mediatore l’associazione organizza, con il supporto di istituti europei, corsi di formazione. Per diventare mediatore non occorre una specifica qualifica, ma sono senz’altro necessarie, sostiene Paolo Giulini, criminologo e presidente del Cipm «la disposizione ad ascoltare, la capacità di mettersi in discussione e un impegno a partecipare». A tutti gli utenti è data la possibilità di consultare una utile banca dati che fornisce una ricca e aggiornata documentazione inerente le tecniche di mediazione. Da non dimenticare poi, la promozione di momenti di riflessione sul tema, attraverso l’organizzazione di convegni, seminari, giornate di studio e pubblicazioni editoriali oltre al coordinamento a livello europeo e mondiale di attività in collegamento con i Centri e gli Istituti internazionali impegnati nella pratica e nella formazione alla mediazione. Nel corso di questi quattro anni, il centro ha operato su vasta scala attivandosi su più fronti per contribuire, ad esempio, alla realizzazione di un centro per la mediazione presso il Tribunale dei minori di Torino e cooperando con l’unica commissione tecnico-politica esistente in Italia sui temi della sicurezza urbana (operativa presso la Regione Emilia Romagna). Infine, di notevole rilevanza e particolarmente innovativa risulta la prima esperienza, recentemente avviata, di mediazione in ambito sportivo, in collaborazione con la società calcistica dell’Inter. Lillina MoggioIl Centro italiano per la promozione della mediazione (Cipm) è la prima realtà italiana che propone un’alternativa ai tradizionali tempi, modi e luoghi di gestione pacifica dei conflitti attraverso la pratica della mediazione. Lo scopo è quello di evitare che situazioni di tensione ad alto rischio, esplodano in scontri dannosi per tutta la collettività, già peraltro ampiamente intimidita dallo strisciante clima di insicurezza, sfiducia e anche intolleranza. Condizione che le stesse istituzioni non riescono a risolvere o quanto meno a contenere. Il Cipm, che ha una struttura federata e si coordina a livello nazionale attraverso sedi autonome presenti in diverse realtà , ha aperto una sede sociale a Milano, città dove è nato nel marzo del ’95, e inoltre una serie di altri riferimenti a Torino (con funzione di ufficio di segreteria), Bari, Forlì e Oristano. A fondare il Centro sono stati un gruppo di operatori sociali, magistrati, criminologi e sociologi del diritto, con l’intento di sensibilizzare e far conoscere nel nostro Paese la pratica e la formazione alla “mediazione”, un’impostazione cultural-sociale già presente peraltro fin dalla metà degli anni Settanta in Canada e negli Stati Uniti, e arrivata più tardi anche in Europa. Più propriamente, la forma di mediazione che il Cipm si è posto di diffondere sul nostro territorio, è la cosiddetta “mediazione sociale”, che sulla scia delle Boutiques de droit (Botteghe del diritto) sorte in alcuni quartieri periferici di Lione agli inizi degli anni Ottanta, propone ai cittadini strutture extragiudiziarie in cui risolvere i conflitti urbani generati dalla quotidianità. In pratica, attraverso la mediazione, i due soggetti protagonisti di un conflitto (a causa di: problemi all’interno della famiglia, incompatibilità caratteriali, un problema condominiale), vengono “aiutati” da una terza figura, il mediatore appunto, a rientrare in comunicazione e a ristabilire l’equilibrio relazionale interrotto. Il ruolo del mediatore, affermano i promotori del Centro, deve essere assolutamente neutrale e indipendente, senza alcun potere decisionale. Un vero canale comunicativo che intervenga laddove apparentemente non vi sia possibilità di soluzione, e che permetta l’espressione e il confronto delle emozioni. Per chi è interessato a intraprendere un’attività da mediatore l’associazione organizza, con il supporto di istituti europei, corsi di formazione. Per diventare mediatore non occorre una specifica qualifica, ma sono senz’altro necessarie, sostiene Paolo Giulini, criminologo e presidente del Cipm «la disposizione ad ascoltare, la capacità di mettersi in discussione e un impegno a partecipare». A tutti gli utenti è data la possibilità di consultare una utile banca dati che fornisce una ricca e aggiornata documentazione inerente le tecniche di mediazione. Da non dimenticare poi, la promozione di momenti di riflessione sul tema, attraverso l’organizzazione di convegni, seminari, giornate di studio e pubblicazioni editoriali oltre al coordinamento a livello europeo e mondiale di attività in collegamento con i Centri e gli Istituti internazionali impegnati nella pratica e nella formazione alla mediazione. Nel corso di questi quattro anni, il centro ha operato su vasta scala attivandosi su più fronti per contribuire, ad esempio, alla realizzazione di un centro per la mediazione presso il Tribunale dei minori di Torino e cooperando con l’unica commissione tecnico-politica esistente in Italia sui temi della sicurezza urbana (operativa presso la Regione Emilia Romagna). Infine, di notevole rilevanza e particolarmente innovativa risulta la prima esperienza, recentemente avviata, di mediazione in ambito sportivo, in collaborazione con la società calcistica dell’Inter. Lillina MoggioIl Centro italiano per la promozione della mediazione (Cipm) è la prima realtà italiana che propone un’alternativa ai tradizionali tempi, modi e luoghi di gestione pacifica dei conflitti attraverso la pratica della mediazione. Lo scopo è quello di evitare che situazioni di tensione ad alto rischio, esplodano in scontri dannosi per tutta la collettività, già peraltro ampiamente intimidita dallo strisciante clima di insicurezza, sfiducia e anche intolleranza. Condizione che le stesse istituzioni non riescono a risolvere o quanto meno a contenere. Il Cipm, che ha una struttura federata e si coordina a livello nazionale attraverso sedi autonome presenti in diverse realtà , ha aperto una sede sociale a Milano, città dove è nato nel marzo del ’95, e inoltre una serie di altri riferimenti a Torino (con funzione di ufficio di segreteria), Bari, Forlì e Oristano. A fondare il Centro sono stati un gruppo di operatori sociali, magistrati, criminologi e sociologi del diritto, con l’intento di sensibilizzare e far conoscere nel nostro Paese la pratica e la formazione alla “mediazione”, un’impostazione cultural-sociale già presente peraltro fin dalla metà degli anni Settanta in Canada e negli Stati Uniti, e arrivata più tardi anche in Europa. Più propriamente, la forma di mediazione che il Cipm si è posto di diffondere sul nostro territorio, è la cosiddetta “mediazione sociale”, che sulla scia delle Boutiques de droit (Botteghe del diritto) sorte in alcuni quartieri periferici di Lione agli inizi degli anni Ottanta, propone ai cittadini strutture extragiudiziarie in cui risolvere i conflitti urbani generati dalla quotidianità. In pratica, attraverso la mediazione, i due soggetti protagonisti di un conflitto (a causa di: problemi all’interno della famiglia, incompatibilità caratteriali, un problema condominiale), vengono “aiutati” da una terza figura, il mediatore appunto, a rientrare in comunicazione e a ristabilire l’equilibrio relazionale interrotto. Il ruolo del mediatore, affermano i promotori del Centro, deve essere assolutamente neutrale e indipendente, senza alcun potere decisionale. Un vero canale comunicativo che intervenga laddove apparentemente non vi sia possibilità di soluzione, e che permetta l’espressione e il confronto delle emozioni. Per chi è interessato a intraprendere un’attività da mediatore l’associazione organizza, con il supporto di istituti europei, corsi di formazione. Per diventare mediatore non occorre una specifica qualifica, ma sono senz’altro necessarie, sostiene Paolo Giulini, criminologo e presidente del Cipm «la disposizione ad ascoltare, la capacità di mettersi in discussione e un impegno a partecipare». A tutti gli utenti è data la possibilità di consultare una utile banca dati che fornisce una ricca e aggiornata documentazione inerente le tecniche di mediazione. Da non dimenticare poi, la promozione di momenti di riflessione sul tema, attraverso l’organizzazione di convegni, seminari, giornate di studio e pubblicazioni editoriali oltre al coordinamento a livello europeo e mondiale di attività in collegamento con i Centri e gli Istituti internazionali impegnati nella pratica e nella formazione alla mediazione. Nel corso di questi quattro anni, il centro ha operato su vasta scala attivandosi su più fronti per contribuire, ad esempio, alla realizzazione di un centro per la mediazione presso il Tribunale dei minori di Torino e cooperando con l’unica commissione tecnico-politica esistente in Italia sui temi della sicurezza urbana (operativa presso la Regione Emilia Romagna). Infine, di notevole rilevanza e particolarmente innovativa risulta la prima esperienza, recentemente avviata, di mediazione in ambito sportivo, in collaborazione con la società calcistica dell’Inter. Lillina Moggio L’esperienza in un quartiere a rischio Parallelamente all’attività di sensibilizzazione e formazione alla soluzione pacifica dei conflitti, il Cipm sta promuovendo la realizzazione di centri sperimentali per la mediazione sociale. Dopo l’apertura nel ’96 del centro nella zona di San Salvario a Torino, Milano,oltre alla sede di via Gonin, ha visto nascere il suo centro sperimentale al Giambellino, un quartiere ad alta densità abitativa e con una forte conflittualità sociale. «Uno dei punti fondamentali del progetto», sostiene Francesca Garbarino, responsabile del centro sperimentale di Milano, «consiste in una campagna di sensibilizzazione del territorio, scuole, commissariato, realtà sociali e istituzionali dell’area in cui la struttura opera». Il centro, aperto dal Comune di Milano che ha affidato la parte operativa agli operatori del Cipm, ha attivato uno sportello dove il pubblico può trovare, grazie alla presenza di personale formato all’ascolto, proprio un luogo dove essere ascoltato e usufruire di un servizio di orientamento alla gestione pacifica dei conflitti. «Prevalentemente» prosegue Garbarino, «i nostri interventi sono nell’ambito della microconflittualità, liti fra vicini di casa, fra familiari, tensioni fra cittadini e istituzioni, difficoltà di convivenza con gli stranieri, sgravando un po’ il lavoro dell’attività di pubblica sicurezza, cui spesso i cittadini si rivolgono». Il centro sperimentale per la mediazione sociale si trova in via E. Odazio 7 a Milano (tel. 0248300104).


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