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Così ho messo il Pulitzer in rete

Si chiama "distributed reporting" ed è l'arma segreta del sito. Prevede che i lettori partecipino in prima persona alle inchieste. Un modello vincente. Che ha stregato gli States

di Rose Hackman

Il pregiudizio anglosassone che non si può insegnare a un vecchio cane nuovi trucchi («You can’t teach an old dog new tricks») non potrebbe essere più lontano dalla realtà per Paul Steiger, editor-in-chief, presidente e chief executive di Pro Publica. Quando un paio di anni fa si è trovato davanti all’opportunità di lanciare una start-up, il 67enne giornalista americano, arrivato in cima alla piramide dell’industria editoriale passando attraverso il Los Angeles Times e il Wall Street Journal, ha ovviamente accettato. «Gli States hanno bisogno di un settore mediatico vibrante e sano. Ma non è un problema da risolvere, piuttosto una questione da gestire», diceva Steiger ai colleghi del Wall Street Journal. Il primo a seguire il consiglio è stato lui stesso.
ProPublica, costruito da zero, è un portale online di giornalismo d’investigazione. Un modello non profit: la maggior parte dei suoi finanziamenti proviene da una dote annuale di 10 milioni di dollari stanziati dalla Fondazione Sandler. «Il nostro obiettivo non è fare il più grande sito di successo del mondo nel più breve tempo possibile, ma avere un impatto», dice. Obiettivo raggiunto, visto che a solo un anno dalla nascita, l’articolo di Sheri Fink sulle morti controverse legate all’uragano Katrina, a New Orleans, ha fatto il giro delle prime pagine del mondo e vinto il premio Pulitzer 2010, cosa inedita per una testata online. Altri premi sono arrivati: tra cui un Overseas Press Club Award ai reporter T. Christian Miller, Doug Smith and Pratap Chatterjee per un reportage sui contractor civili coinvolti nei conflitti in Iraq e Afghanistan.
Ma non bastano infatti le grandi storie per avere impatto: per massimizzarlo il sito web va contro qualcosa che è sicuramente un istinto del mestiere: condivide i suoi contenuti, anche al momento di comunicare la notizia, con più testate mainstream che possono toccare un pubblico più ampio. «Le piattaforme tradizionali sono un modo eccellente per avere impatto. Tutto quello che è sul nostro sito è sotto “creative commons”, puoi riprodurre la notizia gratuitamente, ma non puoi tagliarla o modificarla».

BP sott’occhio
«Le aziende petrolifere ottengono esenzioni dopo la falla»; «I regolatori lasciano le industrie di trivellazione in mare aperto a vigilare su se stesse». Sono alcuni dei titoli di ProPublica di queste settimane: l’impressione è che se c’è una storia da portare alla luce, c’è ProPublica. L’inchiesta in corso in questi giorni si intitola minacciosamente «Segreti sotterrati: minacce ambientali etrivellazioni di gas». I lettori sono generalmente invitati a partecipare al processo di indagine. Nel caso di BP, prende la forma di un invito a testimoniare da parte dei lavoratori del gigante petrolifero. «Vogliamo raggiungere gli individui piuttosto che le comunità, per dar loro una chance di contribuire alla sfera pubblica», spiega Steiger. In altri casi, il processo prende la forma di uno sforzo totalmente comune. Proprietari di casa hanno lavorato insieme a giornalisti locali nel caso dell’inchiesta sullo scandalo dei mutui ipotecari. Nel cosiddetto «Super Bowl Blitz» è stato chiesto ai lettori di aiutare i giornalisti a chiamare i 535 membri del congresso per scoprire chi aveva ricevuto biglietti e altri accessi privilegiati al Super Bowl, la richiestissima finale del campionato di football americano. Il metodo viene chiamato “distributed reporting”, giornalismo distribuito, «ovviamente il metodo richiede un mediatore adatto, ma la mia squadra è ottima».

Old guard/new guard
La sua “squadra” fa base a New York ed è composta da una trentina di persone, di ogni età e background possibile. Steiger ha due convinzioni profonde: la prima è che il giornalismo ha un futuro, la seconda l’investimento sui giovani. «I giovani sanno come utilizzare le nuove tecnologie e sanno istintivamente tante cose che noi ignoriamo. Quello che abbiamo scoperto a ProPublica è che noi della generazione più vecchia abbiamo la stessa quantità di cose da imparare da loro che loro da noi».


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