Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Qualità e dignità alla vita del malato

Cure palliative, una buona vita per i bambini inguaribili

La medicina pediatrica ha fatto tanti progressi in questi anni rendendo guaribili molte malattie che prima non lo erano. Ci sono però ancora bambini che hanno problemi multipli e malattie che, per ora, non hanno aspettative di guarigione. Il mondo delle cure palliative prende in carico il loro corpo, la loro mente e le loro emozioni. Franca Benini, responsabile dell’hospice pediatrico di Padova: «Le cure palliative non sono rivolte a bambini morenti ma si occupano di offrire a questi pazienti una buona vita»

di Rossana Certini

È una vita dedicata ai bambini con malattie inguaribili quella vissuta da Franca Benini, fondatrice e direttrice del Centro di riferimento regionale per le cure palliative e terapia del dolore pediatriche del Veneto e responsabile dell’hospice pediatrico di Padova.

«Ho iniziato a lavorare nella ricerca della terapia intensiva neonatale quando per questi bambini non c’era alcuna possibilità di sopravvivenza», spiega, «poi, negli anni Ottanta si sono fatte le prime importanti scoperte scientifiche che hanno permesso la possibilità di sopravvivenza “in malattia”. Sono bambini che hanno problemi multipli e malattie che, per ora, non hanno aspettative di guarigione. Possono aggravarsi frequentemente con la conseguenza di dover entrare in terapia intensiva o di rischiare di morire. Sono bambini che hanno bisogni complessi che spesso noi definiamo solo clinici ma che, in realtà, impattano su tanti aspetti della loro vita: da quello sociale, a quello organizzativo e psicologico».

Franca Benini, fondatrice e direttrice del Centro di riferimento regionale per le cure palliative e terapia del dolore pediatriche del Veneto e responsabile dell’hospice pediatrico di Padova.

Il mondo delle cure palliative prende in carico il corpo, la menta e le emozioni del bambino e della sua famiglia. Le cure palliative iniziano al momento della diagnosi e continuano per tutta la vita del paziente.

Cure palliative non solo per pazienti oncologici

Il Centro di riferimento per le cure palliative e la terapia del dolore nel bambino della regione Veneto è stato istituito con delibera della giunta nel dicembre 2003, è il primo in Italia in questo ambito e ogni anno segue più di 400 pazienti.

«Per rispondere ai loro bisogni è importante essere un team di sanitari», prosegue Benini, «perché le cure palliative non sono rivolte a bambini morenti. Noi ci occupiamo di vita. I nostri pazienti devono poter andare a scuola, diventare grandi e trovare un loro ruolo nella società. Sfatiamo un mito: le cure palliative pediatriche non si rivolgono solo ai bambini con patologie oncologiche. Anzi questi pazienti sono meno del 15% di quelli che seguiamo. L’85% dei nostri pazienti ha malattie neurologiche, muscolari e tutta quella casistica di malattie che non ha possibilità di guarigione».

Il Centro diretto dalla dottoressa Benini si occupa dei bambini da prima della nascita, in caso di una diagnosi prenatale di malattia inguaribile, fino a oltre il diciottesimo anno di età. Assiste, anche, una quota importate di giovani adulti, fra 18 e 23 anni, per i quali si sta lavorando per un percorso di transizione ai servizi dell’adulto. L’obiettivo è dare a tutti loro una buona qualità di vita intesa come un’esistenza normale.

«La nostra società», sottolinea Binini, «deve avere consapevole del fatto che questi bambini hanno tanti problemi. Di solito siamo preparati ad affrontare quelli clinici, i più facili, meno quelli, per esempio, del reinserimento in una società che fa fatica a dar loro un ruolo perché hanno patologie complesse. Inoltre, la loro presa in carico deve prevedere, anche, quella di tutto il nucleo familiare che si riorganizza intorno al bambino per farlo vivere al meglio. Ecco che è importante costruire una rete di operatori sanitari – medici, infermieri, psicologi, assistenti sociali, fisioterapisti – che possa rispondere in ogni momento della giornata a tutti i bisogni complessi che emergono».

La vita in hospice pediatrico (Foto: Azienda Ospedaliera di Padova, opuscolo informativo)

Ogni storia è accompagnata da scelte bioetiche che innescano domande centrali sulla vita: perché è successo a me? Cosa c’è oltre la vita? Domande che spesso sono proprio i bambini a porre ai medici.

«Non sempre abbiamo le risposte», ammette Benini, «le cure palliative ci costringono a un nuovo modo di vedere la medicina che non è centralizzato in ospedale, ma neanche sul territorio. È un mettere insieme tutte le forze, sanitarie e non, per poter gestire al meglio questi bambini anche dal punto di vista emotivo».

La questione etica è centrale

«L’uomo ha messo in campo una miriade di macchine per far vivere questi bambini ma questa disponibilità di mezzi non obbliga all’uso», prosegue, «ai miei studenti dico sempre che devono saper utilizzare tutto quello che la scienza ci mette a disposizione, ma poi devono passare alla fase successiva, quella che cerca di capire quando, per il paziente, sono utili gli strumenti a disposizione e quando no. Il rischio di questi ultimi anni è quello di non tenere in conto la sofferenza del paziente, mettendo sul piatto della bilancia una speranza miracolistica di vita».

Offire ai pazienti una buona vita questo l’obiettivo

I bambini chiedono poche cose. Vogliono avere la famiglia vicina, non avere dolore e avere una vita normale con tutte le cose che sono tipiche della loro età. Prosegue Benini: «Dobbiamo tutti fare una grossa riflessione sull’utilizzo delle macchine prendendoci la responsabilità difficile e drammatica di capire quando è il caso di usarle e quando no. Per operare in questo campo è sempre necessario un confronto dialettico tra tutte le figure del team. L’obiettivo è quello di proporre una terapia per il bambino non per la famiglia. Nessuno è padrone della vita, soprattutto di quella degli altri. Abbiamo scelto la professione dei sanitari e abbiamo l’obbligo deontologico di lavorare per offrire ai nostri pazienti una buona vita. Ci vengono imposte scelte difficili. Mettere a disposizione dei pazienti tutto quello che la scienza ci offre è facile, comodo e non prevede nessuna responsabilità. I genitori hanno ragione a chiedere tutto. Io al loro posto chiederei l’impossibile per i miei figli. Ma noi, come medici, dobbiamo fare i conti con quello che possiamo dare o non dare».

La nostra cultura non accetta la malattia del bambino

Ecco l’importanza di avere su tutto il territorio regionale un’unica rete specifica e dedicata solo ai bambini e coordinata dal Centro di riferimento diretto dalla dottoressa Benini. Il gruppo di sanitari della rete valuta i bisogni, li prende in carico e cerca di risolverli. Ma come spiega la dottoressa: «è un lavoro molto difficile perché nella nostra cultura un bambino non può ammalarsi, non può morire. C’è una drammatica negazione sociale del problema che rallenta l’evoluzione del progetto di rete che si confronta con una medicina che, talvolta, è miracolistica. La nostra società vede il bambino malato come un cigno nero. Non ci aspettiamo che possa avere una malattia che non può guarire. I bambini si ammalano, non tutti possono guarire ma hanno diritto alla salute. Questa cultura della negazione porta la società a non fornire strumenti utili per affrontare la realtà».

In Italia ci sono solo 19 centri specializzati e ben sette regioni non hanno alcuna risposta per quel che riguarda l’ambito delle cure palliative.

«Non ci si abitua mai a queste storie», conclude Franca Benini, «ognuna ha la sua peculiarità. Certo il primo paziente non si dimentica mai. Per me è stato uno spartiacque per le scelte della mia vita. Poi ci sono stati tanti altri pazienti che, silenziosamente, mi hanno indicato la strada giusta da percorrere. Le famiglie mi hanno insegnato a gestire i momenti di inevitabile dolore. Sono loro che mi hanno fatto crescere come persona e come professionista. Il nostro è un mestiere molto difficile. A volte mi chiedo perché l’ho scelto. Poi mi guardo indietro e capisco che non potrei cambiarlo neanche per tutto l’oro del mondo. È un lavoro che fai per gli altri ma in fondo lo fai per te stesso, perché ti fa crescere come persona. Ti urla i veri valori della vita. Ci troviamo a confrontarci stabilmente con la sofferenza. Ma, anche, con la gioia che nonostante tutto le famiglie sanno esprimere. Sono loro che mi riportano ogni giorno ai veri valori dell’esistenza».

Leggi anche:

Cure palliative: mancano metà dei medici e due terzi degli infermieri

La vita è mutamento, così si affronta la paura della perdita

La foto di apertura è tratta dal documento informativo del servizio offerto dall’Azienda Ospedaliera di Padova


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA