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Di poco, di meno

Nelle 40 pagine che fissano i criteri della programmazione sparisce la televisione sociale. Alla faccia delle promesse ai leader del Terzo settore e alla natura della tv pubblica

di Michele Caropreso

Siamo alle solite. Ancora una volta la Rai e il governo si sono ?dimenticati? del sociale. Il testo del nuovo Contratto di servizio tra Stato e televisione pubblica (un contratto che garantisce alla tv di stato l?uso dell?etere a prezzi stracciati e in base al quale si chiede il canone ai cittadini), un documento che dovrà indirizzare la programmazione fino a tutto il ?99, è infatti il solito generico indice di buone intenzioni. Quaranta pagine dove si mettono a fuoco strategie di mercato e politiche di qualità per i prossimi tre anni. E lo spazio riservato alle tematiche del disagio e alle risorse della società civile è veramente esiguo. Addirittura peggio che nel contratto scaduto il 31/12/?96, dicono le associazioni. E già quello lasciava molto a desiderare. «Se il contratto dovesse entrare in vigore così com?è, sarebbe veramente un segnale preoccupante. Se non sbaglio la Rai dovrebbe erogare un servizio pubblico. Il ministro delle Poste Maccanico almeno ci ha ricevuto, a viale Mazzini, invece, non hanno nemmeno risposto alla nostra richiesta di audizione». È il commento di Nuccio Iovene, portavoce del Forum del terzo settore (un cartello che riunisce oltre 100 associazioni del volontariato) alla lettura del testo, in questi giorni all?esame della Commissione parlamentare di vigilanza. La Commissione dovrà esprimere un parere, obbligatorio ma non vincolante, entro la fine di giugno. Dopodiché il documento tornerà al governo, che potrà decidere se recepire o meno le eventuali osservazioni della Commissione stessa. Ma veniamo al contenuto del documento. I buoni propositi, come detto, non mancano: «La concessionaria (la Rai ndr) si impegna anche a interpretare… le tematiche che contraddistinguono la complessità delle diverse esigenze sociali», si legge all?articolo 2. Che stabilisce poi cosa debba intendersi per trasmissioni di servizio: «Programmi e rubriche di attualità, costume e interesse sociale che trattino, con linguaggi formati e differenziati, tematiche di interesse generale, con particolare riferimento ai bisogni della collettività e delle fasce deboli». Qui troviamo praticamente tutto (così da rendere impossibile il controllo) dalle trasmissioni religiose ai programmi per non udenti, dai programmi su malattie di particolare impatto sociale a quelli di intrattenimento dedicati a «particolari tematiche di carattere sociale», dai varietà ai telegiornali. L?articolo 6, poi, è espressamente dedicato alla programmazione per i portatori di handicap. Qui, dopo aver sancito l?impegno a potenziare le trasmissioni speciali per disabili sensoriali, si stabilisce che i problemi delle fasce più deboli debbano trovare spazio all?interno dei diversi generi di programma. Le trasmissioni sottotitolate per non udenti, infine, non dovranno essere inferiori al contratto scaduto. Ma chi si occupa di controllare che queste poche regole vengano almeno rispettate? Sostiene Luigi Bobba, vice presidente Acli: «Il contratto del ?96 prevedeva che almeno il 6,5 per cento dei programmi di servizio fossero destinati a minori, giovani e portatori di handicap sensoriali. Qui non c?è neanche questo. E la riforma dei programmi dell?Acceso? E gli spot sociali?». Il sottosegretariato alle Poste, Vincenzo Vita, che segue la questione per conto del governo di fronte alle proteste ci dice: «Il testo comunque non è definitivo, e siamo disponibili ad accogliere tutti i suggerimenti utili per migliorarlo».


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