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Domus de Luna, 2.200 km per portare la solidarietà dei sardi

Il fondatore Ugo Bressanello è partito da Cagliari con un mezzo carico di viveri, indumenti e prodotti per bambini. Questa esperienza con il personale della Protezione civile isolana gli ha riportato alla mente i tragici racconti di suo padre, profugo di Fiume. Purtroppo, racconta, ci sono Regioni e Comuni che vanno avanti lentamente: un problema anche per il mondo del volontariato e del Terzo settore

di Luigi Alfonso

Duemiladuecento chilometri di distanza, con la traversata del Tirreno in nave e il resto del tragitto con un Ducato carico di beni di prima necessità. Varsavia non è dietro l’angolo, se parti da Cagliari, ma la fatica si sente di meno se stai portando a termine una missione di solidarietà. Come hai fatto in tante altre occasioni, ma con qualche rischio in più. Sempre agendo in silenzio, sottotraccia. Ugo Bressanello non ci ha pensato a lungo: quando è scattata l’emergenza, ha caricato il mezzo della Fondazione da lui creata 17 anni fa, Domus de Luna, ed è partito con un amico, incolonnato dietro a un convoglio della Protezione civile sarda (sotto il video della partenza). Chiedendo ai collaboratori e agli amici più stretti, gli unici ben informati, di non far trapelare nulla sui social e sui media. «Certe cose si fanno senza suonare la grancassa», spiega dall’altro capo del telefono, raggiunto dopo un inseguimento durato un’intera giornata. Per raccontarci questa storia, pone una sola condizione: non pubblicare foto che lo ritraggano a vario titolo.

Domus de Luna da tempi non sospetti ha un ottimo rapporto con numerose persone ucraine presenti in Sardegna da anni, in prevalenza donne. «Molte di loro ci conoscono bene, sanno che cosa facciamo», spiega Bressanello. «Ad alcune davamo una mano nei casi di necessità, altre le abbiamo aiutate nelle scuole. Qualche giovane ha persino lavorato con noi, alla “Locanda dei buoni e dei cattivi” oppure nelle comunità».

Già nelle scorse settimane, prima che deflagrasse lo scontro in Ucraina, Domus de Luna ha attivato la sua gigantesca rete informale: non poche famiglie si sono messe a disposizione, magari con una casa vuota e al momento non affittata. Una catena di aiuti che sinora ha permesso di dare ospitalità a 8 nuclei familiari, per un totale complessivo di 25 persone. «Ma quando la situazione è precipitata – sottolinea Bressanello – abbiamo deciso di partire per portare avanti due iniziative. Innanzi tutto, aiutando le persone più bisognose con beni di prima necessità (generi alimentari e vestiario). Poi volevamo portare in territorio ucraino biberon, tettarelle, ciucci, omogeneizzati, panni, insomma tutto ciò che ha a che vedere con l’infanzia. Niente farmaci, a parte la Tachipirina per i bambini da destinare ai reparti pediatrici. Purtroppo, siamo stati fermati alla frontiera. Ci siamo accampati al confine polacco, poi siamo arrivati a un centro di distribuzione vicino a Varsavia».

Il fondatore di Domus de Luna ha sentito raccontare tante storie, in questi giorni di grande lavoro e scarso riposo. E ha rivisto i fantasmi del passato. «Mio padre era un profugo di Fiume, dunque tante volte da bambino ho sentito di questi racconti sconvolgenti. Nelle riunioni tra i sopravvissuti, anche a distanza di tanti anni, si piangevano lacrime amare. Sono ferite che rimangono aperte per una vita».

Ugo Bressanello cerca di andare oltre il lavoro svolto in questa missione. Si intrattiene al telefono qualche minuto in più, per tracciare un primo bilancio di questa situazione in continua evoluzione. «Sono d’accordo con Anna Cau, procuratore capo del Tribunale dei minori di Cagliari, quando dice che nelle strutture bisogna tenere ben distinto il sistema comunitario da quello dell’accoglienza per queste persone. Infatti, come Domus de Luna, non siamo pronti per ospitare nelle nostre comunità famiglie di rifugiati. Ma la vera questione è un’altra: ogni Regione adotta una politica propria. Ci sono quelle più pronte, che hanno dato le prime risposte concrete, mentre altre sono indietro. Lo stesso vale per i Comuni: alcuni stanno già accogliendo le famiglie, altri stanno alla finestra. Le priorità, lo sappiamo tutti, sono sanità e scuola. Ma queste risposte non può darle un privato: noi possiamo dare un abbraccio e da mangiare, magari anche il posto letto, ma il resto spetta alle istituzioni. Se questo aspetto non viene risolto, si rischia di bloccare lo slancio del volontariato. C’è bisogno di risposte immediate e strutturali. Perché in Ucraina c’è una guerra, non una piccola emergenza passeggera».


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