Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Media, Arte, Cultura

Ecco come fare del calcio un’impresa socialmente utile

Il presidente di CSI lancia la sua proposta anti scandali: l'operazione pulizia può cominciare dai piccoi club: basta con le spa in rosso, meglio, spazio a fondazioni partecipate dai tifosi

di Edio Costantini

d ora sono tutti al capezzale del calcio che conta. In questa corsa a restituire coerenza e credibilità al calcio spettacolo, bisognerà ricordare due cose: che anche il calcio dilettantistico ha i suoi seri problemi, e che le regole riscritte per il calcio professionistico poco o nulla potranno giovare alle società dilettantistiche, stante la sostanziale differenza delle questioni in ballo nei due settori. La crisi delle piccole società di quartiere, di paese o di provincia è anche crisi finanziaria e gestionale, ma è soprattutto crisi di identità. Fondate quasi sempre per rappresentare nel calcio un territorio e la sua popolazione – indossandone con orgoglio il nome e i colori – sono diventate tutt?altro, inseguendo una competitività inconciliabile con le ridotte dimensioni originarie. Il calcio di paese è diventato una scimmiottatura di quello metropolitano, con viavai di stranieri sconosciuti, crescente divaricazione tra uscite e entrate, appiattimento sulle ragioni del mercato e politiche societarie avulse dalla realtà. Ed è così che, piano piano, si è andato affievolendo il legame tra club e cittadinanza, tra società e territorio. Nessuna meraviglia, allora, che i tentativi di coinvolgere la cittadinanza allorché si rischia il collasso tecnico e finanziario falliscano puntualmente. Restituire i piccoli club ai tifosi, alla cittadinanza dovrebbe e potrebbe essere invece un traguardo stimolante per l?intero settore semiprofessionistico o dilettantistico. Lo si potrebbe fare dando vita a fondazioni largamente partecipate dalla comunità locale, alle quali consegnare le chiavi della proprietà e della gestione dei club. Le fondazioni hanno un quadro normativo severo, che blinderebbe sotto il profilo etico, legale e finanziario la vita di qualsiasi società. Sarebbe quello anche lo status giuridico più appropriato per conferire a un club evidenti scopi di utilità sociale, spingendolo a lavorare per promuovere lo sport giovanile, per favorire l?identità del territorio, per accelerare processi di integrazione di minoranze e per tante altre cose di primario interesse. Sviluppare un sentimento di corresponsabilità tra club e popolazione potrebbe anche funzionare da deterrente contro tentazioni di atti di teppismo e comportamenti antisportivi. Con la trasformazione delle spa in fondazioni si potrebbe, infine, riuscire a trasformarle in organizzazioni socialmente utili, che non rischino più di fare naufragio etico, economico e sportivo andando a rimorchio di mode, costumi e regole imposti a propria misura dal calcio del business.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA