Sustainability portrait

Il vero motore della sostenibilità

Le regole sono importanti nel mondo Esg. A volte danno la scossa, altre imbrigliano il cammino. Ma senza comportamenti virtuosi per il benessere delle generazioni future non si arriva da nessuna parte. Parola di Giovanna Giusti del Giardino di Mediobanca, nella nuova puntata dei “Ritratti”. La partenza? Da un sogno, anzi, da un bivio

di Nicola Varcasia

Coniugare crescita del business e solidità finanziaria con i principi di sostenibilità sociale e ambientale. Creare valore nel lungo periodo. Ma come il mantra della sostenibilità viene vissuto al suo interno e attuato da uno dei grandi protagonisti della finanza italiana? A parlarne, partendo, come di consueto, dall’inizio, è Giovanna Giusti del Giardino, group chief sustainability officer di Mediobanca nella nuova puntata dei Sustainability Portrait.

Come è iniziato il suo percorso professionale?

Dopo la laurea in filosofia, immaginavo idealisticamente due strade per il mio futuro: il giornalismo o la cooperazione internazionale.

Quale dei due mondi ha prevalso?

Il primo, anche perché nella selezione finale del Programma giovani funzionari delle organizzazioni internazionali (per Unhcr nello specifico) cui mi ero candidata scelsero un’altra persona. Così cominciai con una borsa di studio al Gruppo Class Editori, nel ramo del marketing e della gestione editoriale.

Siamo ancora lontani dalle aziende.

Dopo tre anni nel campo editoriale, desideravo continuare a lavorare nella comunicazione, di cui ero appassionata, ma con modalità ed efficacia differenti.

Quando si è presentata la possibilità di entrare nella direzione relazioni esterne di Pirelli, ho accettato con entusiasmo.

Che esperienza è stata?

Ho seguito la comunicazione in tutti i suoi aspetti, dalle campagne pubblicitarie alle relazioni esterne, inclusi i progetti filantropici: è così che la parte di responsabilità sociale è entrata a far parte anche del mio orizzonte professionale.

Le sue svolte però non erano finite, al passo con quelle del capitalismo italiano.

Il mio successivo passaggio professionale è coinciso con l’acquisizione di Telecom da parte di Pirelli. L’idea del management della società fu di costituire non una fondazione per la responsabilità sociale, bensì una società per azioni (Progetto Italia), che si dedicasse al Paese tramite importanti progetti culturali, educativi e sociali, con l’obiettivo di migliorare anche la percezione del brand Telecom Italia.

Lei di cosa si occupava?

Fui chiamata per seguire progetti solidali, dall’ideazione alla realizzazione e comunicazione, con un budget che, per il solo ambito sociale, arrivava a circa cinque milioni di euro all’anno. È stata un’esperienza molto formativa, che mi ha fatto conoscere alcuni grandi protagonisti della vita sociale italiana, da Gino Strada a don Ciotti, con i quali abbiamo collaborato a supporto delle loro iniziative.

Arriviamo alla svolta finanziaria, con il passaggio in Mediobanca. Come lo definirebbe?

Per me molto inaspettato dal momento che non avevo competenze specifiche in campo finanziario. Nell’ultima parte dell’esperienza precedente ho iniziato a occuparmi delle attività di stakeholder engagement e di reportistica non finanziaria.

Come si è ambientata?

Quando sono arrivata non c’era una funzione dedicata alla sostenibilità, anche se non si partiva da zero. In Banca c’erano tantissime “buone pratiche”, con un’attenzione particolare all’etica e alla responsabilità sociale. 

In che periodo siamo?

Tra il 2016 e il 17, quando le aziende di grandi dimensioni sono state chiamate ad adeguarsi al decreto legislativo sulla rendicontazione non finanziaria. Per rispondere alla nuova normativa, il Gruppo ha lavorato fin da subito sulla governance della sostenibilità con le relative deleghe affidate direttamente all’amministratore delegato, al quale rispondo. L’obiettivo fu molto chiaro: adottare una strategia in grado di coniugare crescita del business e solidità finanziaria con i principi di sostenibilità sociale e ambientale, creando valore nel lungo periodo.

Come si è evoluto da allora l’ambito della sostenibilità?

Non sono solo le regole nell’ambito della sostenibilità che stanno cambiando l’approccio delle aziende, ma anche una crescente consapevolezza sull’importanza di assumere un comportamento virtuoso che garantisca il benessere delle generazioni future.

In che senso?

Gli aspetti Esg stanno impattando sul business in modo importante, spinti non solo delle nuove norme e dal mercato, ma anche da una nuova attitudine culturale.

Questo cosa comporta?

A livello europeo il regolatore ha spinto molto in questa direzione negli ultimi anni, accelerando un processo che era già in atto. In alcuni casi permangono delle forti contraddizioni che potrebbero avere ricadute negative sulla produttività di alcuni settori, soprattutto in Europa.

Ad esempio?

Se non è più possibile finanziare delle oil company, da cui il funzionamento del sistema nel quale viviamo è ancora molto dipendente, quelle stesse compagnie non smetteranno di funzionare ma, per finanziarsi, si indirizzeranno verso banche extra europee meno regolamentate.

Ma non è il giusto prezzo da pagare per la transizione ecologica?

Il punto è un altro, ricordiamoci che le emissioni di gas serra prodotte dall’Europa, a livello mondiale, sono relativamente impattanti. L’imposizione dell’auto elettrica in un orizzonte temporale così ravvicinato, ad esempio, senza che la nostra rete sia dotata delle infrastrutture necessarie, è una forzatura che rischia di penalizzare, non solo i produttori europei, ma anche i consumatori. L’obiettivo finale è condiviso da tutti: la transizione verso un’economia a emissioni zero. Sono i tempi e i modi sui quali sussistono forti dubbi. Le regole, quali le direttive Csrd o Csddd, aiutano ma non sono sufficienti a generare un impatto rapido sull’economia reale.

Cosa si potrebbe fare per migliorare questa situazione?

Le regole servono per dare una scossa. Si pensi, ad esempio, alle quote rosa nei Consigli di Amministrazione; a volte la forzatura è necessaria. Ma in ambiti più complessi, come quello energetico, penso che una maggiore interazione e confronto con gli esperti del settore potrebbe essere utile per aggiustare il tiro.

Non si allungherebbero troppo i tempi?

Può anche essere, ma forse ci si focalizzerebbe meno sulla messa al bando delle tecnologie in uso e di più sugli investimenti in quelle nuove, realmente in grado di abbattere le emissioni inquinanti a prezzi accessibili. Penso, ad esempio, alle tecnologie per lo stoccaggio della Co2 o quelle per i motori a idrogeno.

C’è qualche ambito in cui il “sistema della sostenibilità” sta generando effetti positivi?

Nei progetti sociali, il passaggio dalla filantropia alla responsabilità sociale d’impresa ha fatto sì che si evolvesse da un sistema di donazioni “a pioggia” spesso fatte in forma anonima, a vere partnership con il mondo del Terzo Settore per lo sviluppo di iniziative misurabili e comunicate in maniera trasparente anche per rispondere alle esigenze degli stakeholder.

La sostenibilità sociale è un ambito capace di creare innovazione?

La “Esse” dell’acronimo Esg ha una portata molto ampia, che abbraccia numerosi aspetti, quali: diversità e inclusione, diritti umani, formazione, contributo alla comunità etc. ed è valutata anche in relazione alla   governance. C’è molta più attenzione verso questi aspetti anche nel mondo finanziario: il tema dei diritti umani e quello del rispetto della diversità, ad esempio, rientrano tra i parametri valutati per la scelta degli investimenti.

Quali sono i temi emergenti?

L’inclusione, educazione e salute finanziaria. È la seconda area di impatto che abbiamo integrato nel nostro Prb (Principles for responsible banking) Report. Nel concreto, per fare un esempio, vorremmo migliorare la consapevolezza finanziaria dei nostri clienti del credito al consumo, – attività che svolgiamo attraverso Compass – affinchè richiedano un prestito con un approccio responsabile, evitando il rischio di sovraindebitamento. Bisogna garantire che il più altro numero persone possa accedere al credito, ma con la massima consapevolezza e trasparenza.

Sul tema della finanza sostenibile?

Il tema della finanza sostenibile è al centro della nostra strategia di sostenibilità. Le nostre politiche di credito non possono prescindere da uno screening accurato delle controparti al fine di garantire la massima coerenza del loro operato con i parametri Esg.

Qual è l’aspetto della sostenibilità in cui c’è più risposta da parte delle persone?

Il contributo alla comunità. È un’attività che genera molto entusiasmo e partecipazione in azienda. Da alcuni anni le iniziative sono allargate all’adesione dei colleghi, come è accaduto di recente con il nuovo progetto di inclusione sociale presso l’Istituto penale per i minorenni di Nisida, a Napoli. Ma anche con il progetto con Unhcr sulle donne rifugiate e richiedenti asilo a rischio di violenza di genere in Italia.

Quali altri progetti avete in cantiere in questo ambito?

Il Gruppo ha aderito al progetto Community matching, anch’esso realizzato tramite l’agenzia dell’Onu per i rifugiati. L’obiettivo è quello di mettere in contatto rifugiati e rifugiate con volontari e volontarie dell’azienda che li affiancano nel loro percorso di integrazione in Italia.

Come è cambiato il suo lavoro negli ultimi anni?

In questi sette anni la sostenibilità, da funzione quasi “accessoria”, è passata ad essere un punto di riferimento per l’adeguamento alla crescente richiesta normativa prima, diventando, infine, una parte integrante della strategia… un modo di fare business che tocca tutte le funzioni aziendali. Essere riusciti a permeare il Gruppo è per noi motivo di grande soddisfazione.

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