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Gli adeguamenti statutari secondo la circolare ministeriale del 27/12/2018. Una guida

Al tema degli adeguamenti statutari alla riforma del terzo settore è dedicata la recente circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 20 del 27 dicembre 2018. Ecco cosa prevede, punto per punto

di Antonio Fici

Ogni riforma legislativa di una certa rilevanza richiede alle organizzazioni da essa interessate di adeguare i propri statuti alle nuove regole. Tale operazione può essere complessa e delicata, anche in ragione della diversa natura delle norme cui conformarsi. Non è poi escluso che gli enti possano cogliere tale occasione per introdurre nei propri statuti disposizioni che, sebbene non imposte dal legislatore, appaiono loro utili per perfezionare la propria governance interna. Al tema degli adeguamenti statutari alla riforma del terzo settore è dedicata la recente circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 20 del 27 dicembre 2018. A firma del Direttore Generale del Terzo settore, essa presenta ed illustra con estrema chiarezza e precisione, anche grazie ad una tabella riassuntiva allegata, le questioni connesse al suddetto argomento, fornendo linee guida alquanto utili agli enti del terzo settore, ai loro consulenti ed in generale a tutti gli operatori del diritto chiamati a confrontarsi con questa nuova ed articolata normativa. Di essa si offriranno di seguito alcuni strumenti di lettura.

1) Cominciamo innanzitutto col verificare a chi si rivolge ed applica la circolare in questione. A tal fine, è opportuno muovere dalla norma chiave in materia di adeguamenti statutari, cioè l’art. 101, comma 2, del Codice del terzo settore, così come modificato dal decreto “correttivo” dell’agosto del 2018. Tale disposizione così recita:

“Fino all’operatività del Registro unico nazionale del Terzo settore, continuano ad applicarsi le norme previgenti ai fini e per gli effetti derivanti dall’iscrizione degli enti nei Registri Onlus, Organizzazioni di Volontariato, Associazioni di promozione sociale che si adeguano alle disposizioni inderogabili del presente decreto entro ventiquattro mesi dalla data della sua entrata in vigore. Entro il medesimo termine, esse possono modificare i propri statuti con le modalità e le maggioranze previste per le deliberazioni dell’assemblea ordinaria al fine di adeguarli alle nuove disposizioni inderogabili o di introdurre clausole che escludono l’applicazione di nuove disposizioni derogabili mediante specifica clausola statutaria”.

Gli enti del terzo settore interessati dalla circolare sono dunque soltanto le organizzazioni di volontariato (ODV) iscritte nei relativi registri regionali (o delle province autonome), le associazioni di promozione sociale (APS) iscritte nel relativo registro nazionale o nei relativi registri regionali (o delle province autonome), nonché le ONLUS iscritte nell’apposita anagrafe unica. Si tratta pertanto delle uniche tipologie di enti che, finché non sarà operativo il Registro unico nazionale del terzo settore (RUNTS), possono considerarsi “del terzo settore”.

In secondo luogo, la circolare si rivolge esclusivamente ad ODV, APS ed ONLUS costituite prima dell’entrata in vigore del Codice del terzo settore, cioè prima del 3 agosto 2017, poiché soltanto a questi enti si applica quell’art. 101, comma 2, che la circolare egregiamente si sforza di interpretare. In effetti, solo per gli enti costituiti antecedentemente all’entrata in vigore della nuova legislazione si pone un problema di adeguamento degli statuti. Per gli enti costituiti a partire dal 3 agosto 2017, invece, un problema simile non sussiste, dacché essi erano tenuti a conformarsi ab origine, cioè dal momento della loro costituzione, alla nuova disciplina, che era loro immediatamente applicabile, così come già chiarito dalla precedente circolare ministeriale n. 12604 del 29 dicembre 2017.

2) Il primo aspetto rilevante su cui la circolare si sofferma concerne i termini, le forme e le modalità di adeguamento degli statuti vigenti al 2 agosto 2017.

Per quanto riguarda il termine finale entro cui l’adeguamento deve realizzarsi (e può attuarsi con le forme e modalità “agevolate” o, come le definisce il Ministero, “semplificate” di cui all’art. 101, comma 2), esso è il 3 agosto 2019, dato che l’art. 101, comma 2, nella sua ultima versione (successiva al “correttivo”), lo ha fissato in 24 mesi dall’entrata in vigore del Codice (cioè il 3 agosto 2017). Gli enti del terzo settore hanno dunque ancora un periodo di tempo sufficientemente lungo a loro disposizione per conformarsi all’art. 101, comma 2, e sfruttare le sue potenzialità. È opportuno che questo processo, se ancora non avviato, sia intrapreso dagli enti del terzo settore tenendo conto delle indicazioni fornite dalla circolare ministeriale in commento. Parimenti importante è che il percorso di adeguamento statutario venga condotto riflettendo non soltanto sugli adattamenti “obbligatori”, ma anche (se non, forse, soprattutto) su quelli “derogatori” e “facoltativi”. La riforma, come detto, offre infatti agli enti del terzo settore un’occasione unica per “ripensare” la propria struttura interna al fine, se necessario, di renderla più efficace ed efficiente nel perseguimento degli obiettivi istituzionali.

Per quanto riguarda forme e modalità dell’adeguamento, la circolare ministeriale sottolinea innanzitutto che se l’ente del terzo settore è iscritto nel registro delle persone giuridiche di cui al d.P.R. 361/2000, allora le sue modifiche statutarie dovranno avere la forma dell’atto pubblico notarile ed essere inoltre approvate dall’autorità pubblica (a seconda dei casi, prefetture o regioni ovvero province autonome) che tiene il registro. Infatti, agli enti del terzo settore che sono persone giuridiche continua ad applicarsi l’art. 2, comma 1, del d.P.R. 361/2000 – che dispone in merito alla necessità dell’approvazione delle modifiche statutarie da parte di prefetture o regioni – fintanto che non sarà loro possibile avvalersi della facoltà prevista dall’art. 22, comma 1-bis, del Codice del terzo settore, la cui efficacia è in concreto subordinata all’operatività del RUNTS. Quando ciò avverrà, infatti, gli enti del terzo settore iscritti nei registri delle persone giuridiche potranno, iscrivendosi al RUNTS con le modalità di cui all’art. 22, “congelare” la loro iscrizione nei registri delle persone giuridiche, rendendo così inefficace nei loro confronti l’art. 2, comma 1, del d.P.R. 361/2000, e la conseguente necessità dell’approvazione pubblica delle modifiche statutarie. Questa è una tra le principali ragioni per cui l’art. 22 è di grande importanza per gli enti del terzo settore che intendono operare come persone giuridiche, usufruendo così del beneficio dell’autonomia patrimoniale perfetta (per le obbligazioni dell’ente risponde soltanto l’ente con il suo patrimonio).

Ovviamente, le associazioni non riconosciute come persone giuridiche (che, poi, costituiscono la stragrande maggioranza dalle ODV, delle APS e delle ONLUS attualmente esistenti) potranno invece effettuare le modifiche statutarie senza l’intervento del notaio e senza la necessaria approvazione dell’autorità preposta alla tenuta del registro delle persone giuridiche (presso il quale, per l’appunto, non sono iscritte).

Il Ministero del lavoro dichiara poi di condividere l’orientamento manifestato con specifico riguardo alle ONLUS dall’Agenzia delle Entrate, secondo cui l’onere di adeguamento statutario deve, limitatamente a queste ultime, considerarsi adempiuto anche qualora, entro il termine del 3 agosto 2019, siano deliberate modifiche statutarie la cui efficacia sia (però) rinviata al periodo di imposta successivo a quello di operatività del RUNTS. Ciò per tenere conto del termine ultimo di efficacia della normativa sulla ONLUS (che coincide infatti con il periodo di imposta successivo a quello di operatività del RUNTS) secondo quanto disposto dai commi 1 e 2 dell’art. 104 del Codice, così come interpretati autenticamente ad opera dell’art. 5-sexies del D.L. n. 148/2017.

3) La rimanente parte della circolare, così come la tabella riepilogativa ad essa allegata, è infine dedicata al profilo più critico dell’art. 101, comma 2, che è quello relativo a quali modifiche statutarie possono realizzarsi con delibera di assemblea ordinaria (e dunque con le relative maggioranze, così come previste da legge e/o statuto) e quali invece richiedono in ogni caso una delibera di assemblea straordinaria (con le relative maggioranze), fermo restando che, come già spiegato, la delibera dovrà in ogni caso (sia essa di assemblea ordinaria o di assemblea straordinaria) rivestire la forma dell’atto pubblico notarile qualora l’ente del terzo settore abbia personalità giuridica di diritto privato. L’art. 101, comma 2, del Codice dispone infatti letteralmente che – entro il 3 agosto 2019 – ODV, APS ed ONLUS “possono modificare i propri statuti con le modalità e le maggioranze previste per le deliberazioni dell’assemblea ordinaria al fine di adeguarli alle nuove disposizioni inderogabili o di introdurre clausole che escludono l’applicazione di nuove disposizioni derogabili mediante specifica clausola statutaria”.

Nell’ambito del Codice del terzo settore, occorre dunque individuare e mantenere distinte – come ben fa la circolare ministeriale – tre categorie di norme e conseguentemente tre tipologie di adeguamento:

  1. le norme inderogabili dagli enti del terzo settore e dai loro statuti (rispetto alle quali l’adeguamento è obbligatorio);
  2. le norme derogabili dagli enti del terzo settore mediante espresse, contrarie disposizioni statutarie (adeguamento derogatorio); ed infine
  3. le norme che attribuiscono agli statuti degli enti del terzo settore delle mere facoltà di previsione (esercitando le quali l’adeguamento risulta perciò essere facoltativo).

Gli enti del terzo settore potranno adeguare i propri statuti alle norme appartenenti alle prime due categorie sopra indicate mediante delibera di assemblea ordinaria. Occorrerà invece una delibera di assemblea straordinaria, e dunque non sarà possibile avvalersi della procedura “agevolata” ovvero, usando le parole della circolare, “semplificata” di cui all’art. 101, comma 2, per porre in essere gli “adeguamenti” alle norme appartenenti alla categoria sub c).

La ragione di questo diverso regime è facilmente intuibile: nel primo caso le norme di legge sono o sarebbero “subite” dagli enti del terzo settore, sicché il legislatore appronta, a beneficio di questi ultimi, un regime “agevolato” o “semplificato” per l’adeguamento “obbligatorio” (alle norme inderogabili) o “derogatorio” (per disapplicare norme derogabili, altrimenti applicabili se non disapplicate) dei propri statuti. Nel secondo caso, invece, le modifiche statutarie non sono né obbligatorie per conformarsi a norme di legge inderogabili, né necessarie per derogare a norme di legge derogabili, ma sono frutto di una libera scelta dell’ente che decide di avvalersi di facoltà o opzioni riservategli dal legislatore della riforma. In quest’ultima circostanza l’autonomia statutaria sussiste, ed è pertanto opportuno che sia esercitata mediante assemblea straordinaria (per la quale gli statuti normalmente prevedono quorum costitutivi e deliberativi più elevati) al fine di evitare l’introduzione, con ridotte garanzie nei confronti di eventuali minoranze dissenzienti, di modifiche statutarie che la nuova realtà normativa non impone né richiede (ma semplicemente autorizza).

Ciò precisato, l’opera dell’interprete e dell’operatore del diritto deve essere volta all’assegnazione di ciascuna disposizione del Codice del terzo settore ad una delle tre categorie in precedenza individuate, e dunque a comprendere se gli adeguamenti statutari sono “obbligatori”, “derogatori” o “facoltativi”. È qui che la circolare ministeriale in commento si mostra di grande utilità pratica, poiché agevolando sensibilmente il compito di enti del terzo settore e loro consulenti, nonché nel segno della maggiore certezza del diritto e della maggiore sicurezza delle scelte effettuate, svolge tale compito con metodo analitico e mediante argomentazioni senz’altro convincenti.

4) Ai fini della classificazione delle norme del Codice secondo le tre categorie sopra divisate, occorre innanzitutto muovere dalla loro interpretazione testuale, poiché le norme appartenenti alla categoria sub a) normalmente presentano formule chiaramente precettive (ancorché talvolta espresse col verbo al modo indicativo); quelle sub b) sono individuabili per la previsione “se l’atto costitutivo o lo statuto non dispongono diversamente”; mentre quelle sub c) sono riconoscibili per la presenza delle formule “l’atto costitutivo o lo statuto possono” oppure “se l’atto costitutivo o lo statuto lo consentono”.

A mero titolo di esempio, si consideri:

  1. quanto alla prima categoria, le norme di cui agli articoli 5 e 8, là dove impongono all’ente del terzo settore di svolgere un’attività di interesse generale e di destinare in un certo modo l’intero suo patrimonio;
  2. quanto alla seconda categoria, la norma di cui all’art. 24, comma 3, là dove prevede la possibilità per gli statuti di derogare alla regola per cui ciascun associato può farsi rappresentare in assemblea da un altro associato;
  3. quanto alla terza categoria, la norma di cui all’art. 30, comma 6, là dove consente allo statuto di attribuire all’organo di controllo interno (piuttosto che ad un revisore legale esterno) la competenza relativa alla revisione legale dei conti.

È su questa base che si perviene alla classificazione proposta dal Ministero nella tabella riepilogativa allegata alla circolare, cui non può che rinviarsi il lettore interessato a conoscere il complessivo quadro di riferimento.

5) Con particolare riferimento alle reti associative del terzo settore, molto significativo è il riconoscimento da parte del Ministero della circostanza che i loro statuti possano prevedere, oltre alla necessaria, in quanto per esse tipica, attività di coordinamento, tutela, rappresentanza, promozione o supporto degli enti associati e delle loro attività di interesse generale, altresì lo svolgimento di una o più attività di interesse generale di cui all’art. 5 del Codice (assistenza, sanità, ecc.), che è peraltro soluzione coerente con la possibilità, espressamente riconosciuta dal legislatore, di una loro eventuale iscrizione anche in un’altra sezione del RUNTS oltre che in quella dedicata alle reti associative.

Sempre con riguardo alle reti associative, il Ministero opportunamente precisa che deve ormai ritenersi ad esse di fatto inapplicabile il dettato dell’art. 101, comma 4, essendo fondato su un presupposto, l’effettiva operatività del RUNTS a partire da una data antecedente allo spirare del termine di adeguamento statutario ivi previsto, destinato a non verificarsi. Anche per le reti associative, dunque, il termine di adeguamento degli statuti è di 24 mesi, copn scadenza il 3 agosto 2019, così come per tutti gli altri enti del terzo settore.

6) La circolare si occupa di Codice e di enti del terzo settore appartenenti a specifiche tipologie, ovvero, come detto, ODV, APS ed ONLUS. Non si occupa invece di imprese sociali. Queste ultime, pur essendo a tutti gli effetti enti del terzo settore, sono oggetto di specifica disciplina nel d.lgs. 112/2017. In quest’ultimo si stabilisce, all’art. 17, comma 3, che le imprese sociali già costituite al momento della sua entrata in vigore hanno a disposizione 18 mesi per adeguare i propri statuti alla nuova disciplina, anche qui prevedendosi formula analoga a quella di cui all’art. 101, comma 2, del Codice, con riguardo al possibile ricorso a modalità e maggioranze previste per le delibere di assemblea ordinaria. Le imprese sociali devono dunque adeguarsi entro il 20 gennaio 2019. La prossimità di questo termine finale ha evidentemente convinto il Ministero dell’inopportunità di condurre per l’impresa sociale un’analisi articolo per articolo dello stesso tipo di quella svolta per ODV, APS ed ONLUS, fermo restando che la natura qualificatoria, e dunque inderogabile, della quasi totalità delle disposizioni del d.lgs. 112/2017 rende naturale per l’impresa sociale il ricorso all’assemblea ordinaria.

* Professore nell’Università del Molise. Avvocato


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