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Il nodo della misurazione

Impatto sociale, date retta ad Einstein

"Non tutto ciò che può essere contato conta e non tutto ciò che conta può essere contato”, diceva il fisico tedesco. C'è da dargli ragione. Anche a costo di dire qualche "no" alla filantropia

di Federico Mento

C’è una nota frase, attribuita ad Einstein e molto citata dai valutatori: “Non tutto ciò che può essere contato conta e non tutto ciò che conta può essere contato”.

Nella sua apparente linearità, Einstein, o chi per lui, evidenzia il cortocircuito che si può generare tra la necessità di “contare”, magari con precisione, un certo fenomeno, e la sua effettiva rilevanza che, invece, può sfuggire alla “conta”.

Nell’ultimo decennio, l’affermarsi del tema dell’impatto e della sua misurazione ha progressivamente impresso profonde trasformazioni nelle pratiche e narrative dell’intervento sociale. In tal senso, l’assioma del “fare del bene” come attività di per sé generatrice di cambiamento, è stato questionato; non basta, dunque, dichiarare di “fare del bene”, ma è necessario portare evidenze che siano in grado di corroborare la portata dei cambiamenti prodotti da un’attività.


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Sappiamo che nell’ambito sociale, “contare ciò che conta” non è affatto semplice, per diverse ragioni: l’apparente non tangibilità degli effetti generati dagli interventi, pensiamo ad esempio a costrutti teorici come empowerment o autoefficacia, o la dimensione temporale, perché i cambiamenti necessitano di tempo per manifestarsi e, quindi, essere misurati. Così come, esistono limiti e barriere ad una raccolta dati sistematica e robusta, a causa dell’assenza di infrastrutture di raccolta, alla mancanza di competenze specifiche su monitoraggio e valutazione nelle organizzazioni, soprattutto in quelle meno evolute.

Vi sono, a mio avviso, altre dinamiche che determinano una netta preferenza nel contare ciò che può essere contato, pur non “contando” davvero. Una prima tendenza riguarda la crescente rilevanza delle risorse private a supporto di iniziative sociale nell’ambito del macro tema sostenibilità. Per come sono costruiti oggi i modelli di reportistica di sostenibilità, fondamentalmente matrici, Kpi quantitativi, SDGs e tanta compliance, gli ingranaggi creano un movimento naturale verso la scelta di quei progetti in grado di incastrarsi meglio nei report e, soprattutto, sono in grado di portare in dote numeri: “migliaia di beneficiari raggiunti”.

Ma raggiungere “migliaia di beneficiari” conta davvero? Magari in contesti caratterizzati dalle emergenze umanitarie, in cui dobbiamo provvedere alla sussistenza materiale di coloro che sono rimasti senza un’abitazione/cibo/acqua, certamente sì, ma spesso questi numeri non hanno molto senso. Se, da una lato, il settore privato – e sempre di più anche l’attore pubblico – tende a chiedere i “grandi numeri”, dall’altro, c’è da parte delle organizzazioni della società civile una disponibilità ad accogliere quella richiesta. Non possiamo negare o disconoscere le asimmetrie di potere che esistono tra donatore e grantee, ma per creare una vera cultura dell’impatto, dobbiamo assumerci, come organizzazioni che hanno una missione sociale con l’ambizione di cambiare la vita delle persone che serviamo, la responsabilità di dire con fermezza dei no.

Dei “no” costruttivi che ci aiutino a crescere nella consapevolezza di chi siamo, nella solidità della missione dell’organizzazione, della sua strategia e dei valori che la animano. E questi fermi “no” potrebbero aiutare i donatori a comprendere che non sono solo i grandi numeri “a contare”. Certo, sono dei “no” scomodi, insidiosi perché lì c’è attaccato un pezzo della sostenibilità dell’organizzazione, ma se poi andiamo ad analizzare il costo-opportunità di quella scelta, magari ci rendiamo conto che uscire dalla missione non è affatto sostenibile sul medio-lungo periodo, perché smarriamo la specificità della nostra proposta di valore. E non possiamo pensare che questi “no” vadano affidati ai singoli, ma debbono essere dei “no” da dire insieme, la leadership accanto a chi gestisce le partnership, motivandoli, spiegando chi siamo e ragionando su ciò che consideriamo fattibile e, finalmente, far contare ciò che effettivamente “conta”.

foto: Albert Einstein/Wikipedia


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