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Il lato oscuro della cooperazione

Linda Polman, autrice del libro shock "L'industria della solidarietà"

di Chiara Caprio

«In Liberia alcuni gruppi umanitari hanno pagato il 15% degli aiuti a Charles Taylor. E in Somalia sono arrivati perfino all’80%. Così non si può andare avanti» Controversa, discutibile, dolorosa. L’inchiesta messa nero su bianco da Linda Polman, giornalista olandese da anni impegnata in Africa e Afghanistan, ha smosso alle fondamenta quella che definisce fin dal titolo “l’industria della solidarietà”. Il libro, uscito per i tipi di Bruno Mondadori nel 2009, ha suscitato feroci critiche. A cui Linda Polman ribatte subito: «Per le ong non sono novità. Sanno bene come funzionano le zone di guerra. Le autorità locali chiedono parte degli aiuti umanitari in cambio dell’accesso ai campi. Una sorta di “patto con il diavolo”».

Vita: Si tratta di una prassi comune?
Linda Polman: Sì, mi riferisco all’umanitario in senso lato. Oxfam e le agenzie delle Nazioni Unite, per esempio, pagano molto di più per via delle dimensioni. Ma il principio di base è lo stesso. Le autorità locali considerano le vittime come una proprietà: attraggono aiuti e portano denaro.
Vita: Sta dicendo che le tragedie vengono create appositamente?
Polman: A volte succede. Il caso dell’Etiopia, per esempio, è eclatante. Hanno creato un dramma, quello della fame, per attrarre gli aiuti.
Vita: In questi casi le ong dovrebbero rifiutarsi di operare?
Polman: Non voglio essere così estremista, ma vorrei che le organizzazioni umanitarie, prima di tutto, riconoscessero il problema. Vorrei più ricerca per quantificarlo. Quanti aiuti umanitari spariscono? Quanto finisce nell’economia di guerra? Ho fatto molta ricerca sul campo e non ho trovato dati certi. Ho trovato alcuni documenti che ne indicano l’incidenza. Ad esempio in Liberia alcuni gruppi umanitari hanno pagato il 15% degli aiuti a Charles Taylor. Ci sono organizzazioni umanitarie che dopo la fine delle operazioni in Somalia hanno dichiarato di aver versato l’80% del valore degli aiuti ai signori della guerra somali. L’Unhcr-l’Agenzia dell’ONU per i Rifugiati ha fornito dati per quanto riguarda i Balcani. Ha ammesso di aver dato il 30% degli aiuti alle forze militari serbe. Mi chiedo se tutto questo non sia pericoloso.
Vita: Non ci sono casi positivi?
Polman: Le ong non sono il male, ma hanno un problema. Devono scendere a patti con le autorità locali. Non importa quante buone intenzioni hai. Se devi entrare in una zona e il regime locale ti impone di pagare, lo fai.
Vita: Le ong però non possono cambiare le leadership locali
Polman: Non sono d’accordo. Perché non vanno in zone dove le persone stanno morendo e possono dettare loro le condizioni? Magari così si salvano anche più vite. Penso che se l’obiettivo è salvare più vite possibili, allora il Darfur non è il luogo migliore per farlo. Poi c’è un altro elemento da considerare.
Vita: Quale?
Polman: Con la “guerra al terrorismo” si è instaurato un legame più stretto tra i governi e le organizzazioni umanitarie. Chiaramente sono Paesi come gli Stati Uniti a dettare la linea. L’obiettivo è e sarà sempre quello di aiutare la missione militare. Così viene a mancare l’indipendenza delle organizzazioni non governative. Sono considerate un braccio del governo. C’è l’esercito, ci sono i diplomatici e ci sono le organizzazioni umanitarie. Questi tre fattori compongono l’apparato mobilitato per la conquista dell’Afghanistan.
Vita: Lei nel libro parla anche dei media e della loro responsabilità
Polman: Certo: anche i giornalisti sono in larga parte colpevoli per questa distorsione. Ovviamente però, vale la pena ribadirlo per evitare incomprensioni, i principali colpevoli sono i signori della guerra.
Vita: Si tratta di mettere in discussione un intero sistema?
Polman: Dobbiamo riconsiderare quello che sta succedendo, anche per quanto riguarda la dimensione delle ong e la loro necessità di finanziamenti. Viviamo in un modo dove la mentalità degli aiuti umanitari è radicata, dobbiamo capire e trovare il modo migliore per esercitare questo business. È diventata un’industria? Allora dobbiamo chiederci se è giusto e come muoverci.
Vita: Pensa che ci sia un’istituzione in grado di lavorare con le ong su questo punto?
Polman: Ho in mente un esempio storico di come potrebbe funzionare: all’epoca di Goma tanti si rifugiarono in Tanzania. Lì crearono un campo piuttosto grande, finanziato dall’Unione Europea, che decise di affidarsi ad una sola organizzazione, l’Unhcr. Questa a sua volta scelse dieci ong con il compito di lavorare nel campo. Lì non vi fu una manipolazione degli aiuti. Le organizzazioni lavoravano insieme con un’unica agenda e un solo budget. In questo caso l’UE, quindi l’ente donatore, può fare la differenza. Anche se questa esperienza, per quanto ne so io, non è stata ripetuta.
Vita: La responsabilità quindi è anche dei donatori
Polman: I donatori dovrebbero abbandonare la ricerca della visibilità come potenze donatrici e concentrarsi sull’effettiva riuscita dei loro progetti. Si tratta di un cambio di strategia che va fatto nell’interesse delle vittime, non delle potenze che vogliono imporre la propria presenza in una zona o delle organizzazioni umanitarie. Se non ripensiamo a questi modelli penso che difficilmente la situazione potrà cambiare.


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