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Cooperazione & Relazioni internazionali

Il mondo ci ha dimenticati

L'arcivescovo di Khartoum denuncia

di Mirella Pennisi

«L? Europa è annoiata e stanca di compassione; non dovete aspettarvi troppi aiuti. Non siete una nostra priorità». Monsignor Gabriel Zubeir Waco è stanco. Questo viaggio a Roma per vedere il Papa aveva acceso le sue speranze. Subito spente dalle organizzazioni internazionali che ha avuto occasione di incontrare. «Speravamo in un aiuto. Invece torniamo con molto poco. Le organizzazioni internazionali a cui abbiamo chiesto ci hanno risposto picche». Ma chi ha detto di no? L?arcivescovo di Khartoum, presidente della Conferenza episcopale del Sudan, non ce lo può dire: un residuo di speranza vieta di tagliarsi tutti i ponti alle spalle. «Solo a Khartoum dobbiamo nutrire e educare 49 mila bambini. Mancano medici e delle medicine. I musulmani ricevono aiuto dalla Zhakat, una specie di tassa islamica. Ma i cristiani? Una donna si è sentita dire: ?Non ti posso dare nulla perché tu sei cristiana e non vuoi nemmeno diventare musulmana?». L?indifferenza occidentale si alimenta di ignoranza. Cosa succede in Sudan? «C?è la guerra. Dal 1986 si combattono governo e Spla (la guerriglia del Sud) . La gente è fuggita in città come Juba, Madakar, Wau. A Khartum sono arrivati in 2 milioni. Oggi ne restano un milione e mezzo. Si sono costruiti una baraccopoli. La nostra diocesi li aiuta: scuole, cibo, acqua. L?Europa e il World Food Program dell?Onu hanno dato aiuti per qualche anno, poi basta. L?Unicef ha scavato un pozzo per l?acqua e se ne è andata. Nel ?92 il governo li ha costretti a migrare nel deserto ?per mantenere le città pulite?. Sono sopravvissuti solo con gli aiuti delle organizzazioni islamiche. A noi cristiani era proibito aiutarli. Un prete, per sviare i controlli, si è dovuto fingere rifugiato». Nel ?93 il Papa ha visitato il Sudan e il governo ha fatto molte promesse. A distanza di quattro anni le ha mantenute? «No. In Sudan non si possono costruire chiese o centri cristiani e non c?è alcun efficace sistema di legalità. Il governo aveva detto al Papa che il Sudan è un paese tollerante, ma la realtà è un?altra. Chi non è musulmano si lamenta di essere trattato come cittadino di seconda classe. Le chiese vengono bruciate o distrutte nell?impunità: questa non è tolleranza». Torniamo ai profughi: cosa fate, cosa possiamo fare noi europei? «Ottenuti i permessi per aiutarli abbiamo ricostruito le scuole, ma il governo vedeva male il nostro impegno, così li ha spinti più in là nel deserto. Noi li abbiamo seguiti. Allora lo ha fatto di nuovo. Ogni volta che il campo si sposta, dobbiamo rifare tutte le attrezzature. Ma la cosa più grave è la mancanza d?acqua. Tutti i giorni portiamo camion-cisterne. Se i camion si rompono, quel giorno c?è la sete». Nord musulmano e integralista, sud cristiano. Una guerra di religione? «No. Vi sono ragioni economiche: il nord è più sviluppato del sud e le ricchezze non sono equamente distribuite. Poi vi è la questione dell?autodeterminazione: i sudanesi appartengono a diverse tribù, gruppi etnici e religioni e vorrebbero essere rispettati: per questo nord e sud stanno combattendo fin dal 1955». Speranze di pace? «In agosto è stato firmato un accordo che prevede due tappe: 4 anni di cessate il fuoco, quindi un referendum per l?autodeterminazione. Il presidente ha avuto molti incontri con i ribelli per discutere. Ma non ci può essere pace se il governo continua a sostenere che il Sudan deve essere una nazione islamica e continua a propugnare un federalismo senza la libertà di proporre candidati».


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